L’era del disagio. Il rimedio dei ragazzi contro la sfiga
I rischi di disturbi psichici, di cui soffre un ragazzo su sette, possono derivare anche dall’uso eccessivo dei social e degli smartphone. In Italia gli ultimi dati parlano di un aumento, negli anni, del 30% degli episodi di disagio mentale. Soprattutto tra i più giovani i quali provano senso di colpa e di vergogna per una vita di cui non ci si sente all’altezza. Tra le persone che affermano di convivere con una patologia psicologica il 75% è rappresentato da giovani della c.d. Generazione Z, noti anche come iGen o Centennials. Sono giovani nati tra la fine degli anni '90 e i primi anni Duemila. Quali sono i disagi più ricorrenti? Al primo posto c’è il disturbo del sonno, seguito da ansia; stati di apatia; attacchi di panico; depressione; i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (anoressia e bulimia). Vi sono anche casi di isolamento sociale volontario nella loro camera (hikikomori), autolesionismo, psicosi, ciberbullismo. Purtroppo si tratta di patologie tanto diffuse quanto difficili da diagnosticare.
Secondo gli psichiatri sarebbe in atto una “policrisi”, una sorta di tempesta perfetta costituita dalla compresenza di post pandemia, guerra, inflazione e turbolenze sociali che stanno facendo da detonatore. La domanda che oggi tutti si pongono è: come le nuove tecnologie hanno iniziato a cambiare il modo in cui pensiamo? Come l’età di Google ha cambiato il nostro cervello? Risposta: la storia, la società, il cambiamento tecnologico si evolve ad un ritmo incredibilmente accelerato. Così accelerato da correre oggi a una velocità senza precedenti. Il nostro cervello è riuscito ad evolvere allo stesso modo? Esso oggi è colpito da più di mille stimoli al secondo. In pratica, in tre mesi noi abbiamo tanti stimoli quanti ne avevano i nostri nonni in tutta la vita. I ragazzi tra gli 8 e i 18 anni espongono il loro cervello a otto ore e mezza di stimolazione al giorno, tra digital e video. In particolare, l’utilizzo dei dispositivi elettronici in camera da letto, soprattutto prima di coricarsi, aumenta l’eccitazione mentale ed emozionale, inoltre l’esposizione alla luce artificiale degli schermi ritarda il ritmo circadiano.
Ogni individuo ha un orologio biologico della durata di 24 ore, che regola l’alternanza tra sonno e veglia e che si ripete ciclicamente. L’uso eccessivo della rete, ha un impatto sconvolgente sul sonno nei bambini in età scolare e negli adolescenti. Perché queste patologie, collegate allo stress, sono l’espressione di un ambiente sociale che invia stimolazioni di intensità tale da superare le possibilità dell’individuo di gestirle: i corpi non reggono alla pressione ed esplodono. Con una drammatica conseguenza: il ricorso a soluzioni che potenziano le capacità psichiche, come per esempio sostanze stupefacenti di tipo eccitatorio o ansiolitici in grado di facilitare la gestione degli stress. In molti casi, farmaci. Difatti, quando vengono lasciati troppo soli con i loro problemi, finiscono spesso per prendere psicofarmaci senza prescrizione medica. E lo fanno per diverse ragioni: per dormire, dimagrire e, magari essere più performanti negli studi. Proprio tra gli studenti la percentuale di chi usa psicofarmaci sale enormemente.
In buona sostanza, alcuni comportamenti vanno da subito considerati preoccupanti: dal bisogno di usare sempre più frequentemente i social media (con riduzione delle ore dedicate allo studio e al lavoro per il loro eccessivo impiego); all’incapacità di smettere di usarli (poiché l’ansia viene agitata per il mancato utilizzo dei social). Cosa si può fare? Certamente delle campagne di sensibilizzazione nelle scuole, screening per disturbi mentali, maggiore informazione ai genitori, riconoscimento precoce dei disturbi, la creazione di equipe multidisciplinari nei CSM (Centri Servizi Mentali). Queste sono le varie risposte collettive da incrementare per affrontare detti problemi, coinvolgendo le istituzioni e avendo chiaro che la salute mentale è un diritto fondamentale.
La dipendenza da internet. E’ un problema di salute come qualsiasi altro. Oggi riguarda tutta la popolazione, di qualsiasi stato economico, sociale e culturale, e non solo gli emarginati. Quando la ricerca di attaccamento ad internet diventa incontrollabile, si ripete incessantemente ed occupa buona parte dello spazio mentale –sottraendo tempo ed impegno verso la famiglia, gli amici e gli hobby-, nonostante la persona sia consapevole di quell’attività, bisogna prestargli aiuto. Più si tarda a farlo e più diventa difficile uscirne. Perché questa vita on-line, dominata dalla cultura della perfezione e del risultato, è estenuante e sfinisce. Inoltre, va considerato che nessuno si salva da solo. Insomma, è estremamente tortuoso uscire fuori da questa complicatissima ragnatela. I genitori, d’altronde, difficilmente riescono -senza l’intervento dello psicologo- a contrastare il disagio dei figli. Nondimeno, non dovrebbero caricarli di eccessive aspettative poiché, se non sanno apprezzarli per chi realmente sono, i figli smettono di sentirsi protagonisti della loro vita e non sanno più chi sono. Non dovrebbe nemmeno succedere che l’adulto di riferimento, il quale dovrebbe fare il tifo per il ragazzo, è talmente preso di se stesso che non lo vede e non lo ascolta nemmeno. Ed i ragazzi si sentono alienati, sempre fuori posto e fuori tempo. Al contrario, questa generazione chiede di riappassionarsi alla vita. Ecco, qui entrano in gioco anche gli amici ed i compagni di classe i quali dovrebbero in primis scongiurare, con il proprio comportamento, l’isolamento di chi soffre. Poi organizzare uscite di gruppo, in pizzeria, gite e quant’altro, affinché si reimpari a stare insieme agli altri, godendo di quelle cose che un tempo emozionavano.
La pandemia del futuro. Così è stato definito il disagio mentale. I numeri sono tali che diventa necessario accendere un faro sulla emergenza invisibile del fenomeno. L’obiettivo importante diventa quello di restituire speranza e gioia di vivere ai ragazzi sofferenti in quanto, coloro che provano a farcela da soli, spesso non ce la fanno. Allora, innanzitutto occorre far comprendere agli interessati di celebrare la normalità intesa non come assenza di difetti o di problemi, ma come il contrario dell’omologazione. Resistendo al falso mito della perfezione e del successo ad ogni costo. Detto principio dovrebbe diventare un imperativo etico accettato e diffuso. Una dichiarazione di indipendenza dalla tirannia della perfezione. Contro la dittatura dell’apparenza che la società di oggi impone. Pertanto, senza cadere nella trappola dei falsi modelli offerti dai social, si può benissimo combattere e vincere le battaglie contro il demone del perfezionismo. Mediante l’acquisizione di una sconvolgente consapevolezza: essere delle persone imperfezioniste, che nel disordine della vita trovano il loro senso, la propria forza creativa. Abbattere il tabù della perfezione la quale, anche se può essere meravigliosa, in realtà è una gabbia che può soffocare. Invece, l’imperfezione dà la libertà di essere se stessi, senza nascondersi dietro a delle maschere. In altri termini, nessuno è perfetto ma ciascuno è unico a suo modo. Dobbiamo esserne orgogliosi. La perfezione è un’illusione e l’eccellenza è un viaggio senza fine dove non soltanto non si arriva sempre primi, ma significa cadere e rialzarsi, sbagliare e ricominciare. Vuol dire anche saper restituire. Il talento senza impegno sociale ha poco senso, forse nessuno. Una comunità in cui i primi dimenticano gli ultimi, non funziona. Occorre allenare il cuore alla gratitudine.
Conclusioni. Le maggiori quantità di comunicazioni che oggi ci vengono offerte ci portano spesso ad avere rapporti virtuali, molto superficiali. Tuttavia, dall’inizio del nuovo millennio si è cominciato a scendere sotto l’epidermide, ed è nata sempre di più l’esigenza di guardare meglio i soggetti che ci sono sotto. Guardando a fondo la personalità, l’identità. Cercando di superare quelle relazioni volatili ed estemporanee che provocano, nei ragazzi più sensibili, dannose frustrazioni. La tendenza attuale va nel senso di approfondire l’essere. In quest’ottica, il rapporto con gli strumenti digitali è sempre meno gratificante e sempre più mistificante. Ragion per la quale, dopo aver provato, sono sempre di più i giovani (ed anche i meno giovani) ad avvertire il bisogno di ritornare a cercare contatti diretti, parlando fisicamente con le persone. Magari praticando sport di gruppo dove la coralità è espressione di solidarietà anche nei confronti dei più deboli. Finanche passeggiando più spesso sul corso o godendosi maggiormente il rapporto con la natura ed i paesaggi mozzafiato (mare, laghi, boschi) di cui la popolazione di Sannicandro, non avendo niente da invidiare a nessuno nel Bel Paese, è ricchissima.
Francesco Sticozzi