Giovani, forza... potete farcela

Non tutti sanno quanto sia dura la realtà della vita, non lo sanno soprattutto i giovani che hanno ali robuste con le quali sorvolano le difficoltà e i capricci dell’esistenza. La vita, comunque, è bella e, almeno per qualche periodo diventa avventura, poesia, e amore.

I giovani, in un certo senso, sono tutti poeti, innamorati ed esploratori. Si sa, i poeti e gli innamorati sognano e i giovani sono continuamente abbracciati dai sogni e ricambiano l’abbraccio stringendoli forte.

In questo nostro tempo di sbandamento, di mutamento di valori familiari e sociali, i giovani sono disorientati. Non possono accettare ancora i tabù del passato, anzi vorrebbero strappare dalle menti quelle tradizioni ipocrite che erette a falsi valori essenziali,frenano la loro libertà di pensiero creativo del nuovo.
Occorrerebbe, però, rifondare la comunità umana colmando le coscienze con nuovi principi, dare fondo ad ogni energia per lottare, lottare ed ancora lottare.

Loro anelano la libertà per istinto. Il tempo attuale, cancellando ogni loro aspirazione, li fa prigionieri di una condizione e di una mentalità che non condividono. Viene loro impedito, con assurdi pregiudizi e addirittura con leggi dello Stato che rendono precario il lavoro quando si trova, ogni sforzo per realizzare sogni e speranze.

Ai giovani d’oggi è stata sottratta la “libertà” di aspirare ad alte mete, di sognare e sperare cose grandi da realizzare nella vita, sono stati privati della libertà del lavoro, dell’impegno che conduce ad un riconoscimento ed un premio perché tutto è basato sulla ricerca del “favore” concesso dal “potente”.

Nietzsche afferma “il segno della libertà raggiunta sarà il non provare più vergogna di noi stessi” (1). Quei giovani che, con rammarico, sono costretti ad accettare condizioni e metodi basati sul favoritismo, sul clientelismo sfrenati e finalizzati ad un consenso malato verso un potere debole e corrotto, si vergognano di sé stessi. Queste condizioni, accettate o subite, portano alla ribellione delle loro coscienze che indica la strada del rifiuto della “cosiddetta” normalità.

La gioventù, però, sembra sfiduciata, stanca ancor prima di iniziare la lotta per cambiare. Sembra che abbia rinunciato a difendere con tutte le forze i suoi sogni e ad essere ,come sempre, esploratrice di nuove frontiere dell’anima, dell’organizzazione sociale e della vita. I giovani sono sempre stati la speranza delle famiglie, della società, della scienza, dello sport, della ricerca, dell’ avventura; hanno sempre avuto il coraggio di dare un valore infinito agli ideali e ad essi hanno avuto sempre la capacità di sacrificare ogni cosa, senza riflettere sulle conseguenze, sui pericoli, senza calcoli di interessi personali, anche a costo della vita. Questo periodo storico ha cancellato gli ideali predicando che sono un cattivo retaggio che porta a cose negative.

Sono fortemente convinto, invece, che la fiamma che sempre brucia nel cuore dei giovani non sia spenta e che l’egoismo e la disonestà intellettuale e materiale, ampiamente diffusi nei governanti, nei capi, nei dirigenti e nella gente comune, l’abbiano solo affievolita.

I poeti, quelli venuti al mondo con il dono di saper comunicare la voce dell’anima, non fanno altro che diffondere i sentimenti nobili che suscitano il calore di quella fiamma.

Le condizioni che vivono i giovani, comunque, sono tali da creare disagio a tutti loro, soprattutto a quelli che hanno avuto la disavventura di nascere e crescere nel meridione d’Italia. La prima immediata constatazione è relativa ad una situazione economica che non è mai stata tranquillizzante e che si aggrava anno dopo anno. Nel meridione l’economia si è sempre basata sull’agricoltura e sulla pastorizia. A queste attività attualmente si dedicano sempre meno giovani, in parte perché la famiglia, con grandi sacrifici li ha indirizzati allo studio e, adesso, laureati, sono in cerca di occupazione adeguata al titolo raggiunto e alla professionalità acquisita.

Le prestazioni in questi settori, poi, non sono remunerative rispetto all’impegno ed agli orari di lavoro. L’agricoltura si può considerare fallimentare sia per l’incertezza del raccolto, sia perché non c’è nessuna protezione per i prodotti rispetto all’invasione di merci scadenti consentita dalla globalizzazione.

I tentativi di far nascere cooperative agricole, fatti nei primi decenni successivi al secondo conflitto mondiale, sono abortiti dopo breve e difficile avvio. Esse avrebbero facilitato i rapporti con le industrie di trasformazione che, all’epoca, avrebbero pagato i prodotti a prezzi più giusti; ancora oggi esiste lo stesso problema perché si applicano prezzi non remunerativi.

La gente del meridione non crede al lavoro comune, è piuttosto avvezza al sacrificio e la filosofia “dell’arrangiarsi” da soli non è ancora scomparsa dalle coscienze.

Lo Stato non si è mai seriamente impegnato per facilitare la nascita di industrie per la lavorazione e trasformazione dei prodotti dell’agricoltura. Per la pastorizia si possono similmente fare le stesse considerazioni con alcuni aspetti peggiorativi se si considera che gli animali allevati allo stato brado sono soggetti all’abigeato e che, di conseguenza, occorre la custodia al pascolo sia diurna che notturna.

Quelli che sono in possesso di un “pezzo di carta” rilasciato dalle università dipendono dai genitori e dalla generosità dei nonni pensionati e vivono umiliazioni quotidiane. Quando trovano un impiego gli imprenditori sfruttano tutte le possibilità che i nuovi contratti, previsti dalle norme in vigore, offrono per il lavoro precario e, intanto, passa inesorabile il tempo senza nessuna sicurezza di poter progettare il futuro.

La gioventù si chiude in sé stessa, si sente impotente, si ammala di malinconia, si sente frustrata, oppure si arrende al menefreghismo più cinico e dà corpo alla sfiducia; escluse sempre meno eccezioni, si allontana dalla vita sociale, dal volontariato, non partecipa alla vita culturale e non si occupa di politica.

Non c’è più molta solidarietà tra i giovani se non in alcuni momenti di emotività per una sventura o una misera condizione che però, passano subito o sono dimenticati proprio perché nel modo in cui si svolge la loro vita nessuno può dare ascolto alla coscienza, bisogna pensare ognuno per sé.

Ognuno, infatti, cerca di costruirsi un rifugio del quale si possiede la chiave a difesa del proprio necessario egoismo. Certo non si può attribuire alla gioventù, che vive tutto questo, la colpa dell’isolamento dalla realtà, dei singolari tatuaggi, dei piercing, delle pettinature che imitano qualche tribù degli indiani d’America, dei pantaloni cadenti, perché sembra evidente che sono solo mezzi per mostrare il proprio disagio. Si mostra così il totale rifiuto delle convenzioni del “cosiddetto” normale che è considerato un contenitore nel quale prospera l’ingiustizia sociale, l’ipocrisia, la disonestà, l’arroganza della ricchezza e del potere e, come “inconveniente” volutamente considerato marginale, la povertà e l’indigenza.

Ma qual è la soluzione ?
I giovani non devono auto emarginarsi, devono partecipare con la loro genuinità alla vita sociale, soprattutto avvicinarsi e condizionare la politica e diventare loro stessi operatori della politica senza farsi strumentalizzare dai vari Guru che nascono e crescono approfittando della loro disperazione e di quella delle loro famiglie.
Devono loro stessi afferrare e stringere le redini delle sezioni di partito, delle associazioni, dei movimenti e delle cooperative, lottare per una svolta della mentalità di gestione degli interessi collettivi.

Basta partiti di proprietà di singoli, basta liste con il nome del “padrone”. Occorre sempre più partecipazione alle decisioni amministrative e politiche in quanto i Comuni in cui abitate sono vostri, come pure le Province, le Regioni ed ogni altro Ente Statale o Parastatale. Dovete entrarci dentro e partecipare alla vita, alla discussione, alla gestione ed impedire, in questo modo democratico, a chiunque ne voglia divenire “padrone”, di commettere azioni disoneste.

Sappiate che il vostro rifiuto di partecipare favorisce il disegno dell’arroganza e della disonestà.

(1)- F.Nietzsche – La gaia scienza – Libro III

Mario Ruscitto

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