Ieri, dopo la consueta visita ai cari defunti, mentre mi avvicinavo all’uscita del cimitero la mia mente era piena di pensieri e riflessioni dettate dal momento e dalla sacralità della giornata.
Tralasciando la mondanità dell’evento in cui si è trasformata la ricorrenza del 2 novembre, le mie considerazioni si sono focalizzate sull’architettura propria del Campo Santo,
Se lo si osserva dalla collina di San Giuseppe, il cimitero comunale della città di San Nicandro Garganico ha una dimensione pari ad un quinto (se non più) della estensione urbana del paese. Il paragone con il cimitero della vicina Apricena è impietoso se si considera che quest’ultimo è grande meno della metà di quello sannicandrese, nonostante il numero dei defunti presenti sia pressoché lo stesso.
Entrando ancora più nello specifico, l’attenzione si sposta sulle lapidi dei defunti che vi riposano all’interno. Il mio sguardo si è posato soprattutto su quelle presenti nella parte antica. La maggior parte delle salme è li da oltre quarant’ anni. Quest’ultime a norma di legge dovrebbero essere state già riesumate e collocate in ossari al fine lasciare spazio ai nuovi defunti (come succede in tutta Italia).
Questa riflessione ha fatto accendere la classica “lampadina”: -l’architettura del cimitero comunale riflette l’essenza stessa della gente sannicandrese-.
Il sannicandrese medio nel passato (ma a volte anche nel presente) ha voluto costruire e possedere la sua cappella di famiglia, per dimostrare che la propria dinastia fosse alla pari con le casate più nobili della piccola città garganica. Questo modo di pensare, insieme ad una classe politica mediocre, alla mercé dei capricci della popolazione, ha fatto si che il Campo Santo diventasse l’odierno gigantesco accumulo di cappellette, molte delle quali chiuse e semivuote.
Il sannicandrese così come ha deciso di ampliare la propria città a perdita d’occhio; trasferirsi in case di prima costruzione, per “ingegnare” la propria abitazione, abbandonando all’incuria e all’oblio la bellissima parte storica del paesino. Lo stesso ha fatto con il Campo Santo: -Costruire loculi e cappelle nuove (per “ingegnarle”) piuttosto che riutilizzare quelle dei defunti del passato-. In questo senso è mancata, e manca tutt’ora, una politica di contenimento.
Nella struttura del Cimitero si riflette la mentalità dei nostri compaesani; le cappelle familiari sono lo specchio dell’ego e dell’individualità del popolo sannicandrese. Il Campo Santo altro non è che il prolungamento dell’architettura del tessuto urbano cittadino, fatto per il 60/70%, (forse anche più), di appartamenti inutili e disabitati, con un valore commerciale molto vicino allo zero. Abitazioni costruite dai padri per compiacersi; doni destinati ai figli, che nel frattempo venivano educati a scappare e a disprezzare la propria terra natìa.
Oggi, nonostante siamo nel ventunesimo secolo e il modo di pensare anche a certe latitudini sembra si sia evoluto, nella nostra città si continua a costruire cappelle di nuova generazione. Si continua ad ampliare un Campo Santo pachidermico per permettere ai prossimi defunti di “ingegnare” il proprio loculo.
Questo è il tipo di mentalità che va combattuta. Bisogna superare il pensiero individualista che ha portato allo sfacelo la nostra cittadina. La concezione che il luogo pubblico non ci appartenga e per questo possa essere bistrattato, danneggiato e utilizzato senza regole per scopi privati. Superare il modus pensandi per cui la proprietà privata altrui è disprezzata e non può essere rivalorizzata e per questo va abbandonata.
Se si riesce a cambiare questo atteggiamento, con una classe dirigente adatta, moderna, coraggiosa, ligia al dovere e dedita al benessere comune questo luogo può avere un futuro… al contrario i prezzi del mattone (ma non quelli dei loculi) non possono che continuare a diminuire.