Nove mesi e un bivio

Da quando è stato eletto Costantino Ciavarella a sindaco di San Nicandro Garganico, ho ritenuto più che opportuno evitare qualsiasi commento sull'attività amministrativa. E per un voluto e, credo, salutare distacco dalla cosa pubblica; e per attendere il fisiologico tempo di rodaggio, nel concomitante rispetto della volontà elettorale, che mi hanno insegnato dover essere sempre la bussola di una Politica sana, giusta e leale. 

Si pone però, oggi, una cesura importante, su cui varrebbe la pena leggere e ascoltare più di un'opinione, come quando, ammalati, capita spesso di rivolgersi a più di uno specialista. Lascio tra queste righe, perciò e sommessamente, la mia, di discreto conoscitore - al momento libero da vincoli di appartenenza - delle dinamiche politiche interne ed esterne ad una città, studiate avidamente nel corso degli anni.

Inutile perdersi nei "si sapeva" o "l'avevamo detto" circa quello che sta accadendo alla maggioranza che governa a Palazzo Zaccagnino. Il senno di poi è sempre stato per i "maestri" scarsi. Occorre, invece, partire dalla volontá degli elettori, la sacrosanta volontá di chi si è recato a votare. Ben inteso che chi non ha votato, ha espresso comunque un voto, quello dell'ignavia. Che, in politica, è sempre un peccato grave.

Dunque, il 10 giugno 2018 l'elettorato sannicandrese ha assegnato la maggioranza a forze politiche di centrodestra, quelle unite attorno al nome di Costantino Ciavarella da una parte; e, se vogliamo, alcune liste del candidato Tancredi e una di D'Ambrosio dall'altra.

Il ballottaggio ha dimostrato che, nonostante il forte recupero di D'Ambrosio (quasi 1000 voti in più rispetto al primo turno), le forze di centrodestra sono riuscite, seppure per un soffio, ad intestarsi la vittoria. Questo non significa che chi oggi governa rappresenti la maggioranza dei sannicandresi. Ma una parte consistente, che le leggi della democrazia danno come "maggioranza" (al ballottaggio ha votato solo il 45% degli elettori), sempre per il principio che chi vota ha sempre ragione.

Ora, come troppo spesso accade ultimamente (e qui si impone una seria riflessione per noi tutti elettori), specie da quando i partiti sono in crisi e prevale il personalismo del singolo, sovviene una crisi all'interno di quella maggioranza scaturita dalle urne, che a soli nove mesi di vita, pone il sindaco, che politicamente è il garante tra tutte le forze politiche che lo hanno fatto eleggere, davanti ad un bivio: continuare rivedendo i rapporti tra quelle forze e tra lui ed esse; ovvero dichiarare fallito il progetto presentato agli elettori e, a loro e solo ad essi, riconsegnare la parola. O, meglio, la matita copiativa.

Nel primo caso, quello di "ritrovare la quadra", occorre comunque tener presente un dato: il sindaco, al primo turno, ha preso qualcosa come 250 voti circa in più delle sue liste. Il che, sempre politicamente parlando, gli conferirebbe una maggiore forza nella sua funzione di garante, che tutti dovrebbero rispettare. Tale forza si può esercitare in molti modi: per fare qualche esempio, imporre una certa linea, anche su temi limitati; oppure chiedere che nella giunta vi sia una figura di propria fiducia; o ancora, in caso di crisi con esito in "rimpasto", ripudiare una forza politica che conti quei circa 250 voti e porsi garante di un'altra di minoranza, facendo il più possibile attenzione a preservare il numero 11, quello dei consiglieri di una maggioranza completa e solida.

Ciavarella sembra non aver mai imposto alcuna linea su nulla. L'unica figura di sua fiducia in giunta coincideva con un uomo (Giovanni Villani, tra l'altro - checché se ne dica - vero demiurgo politico della compagine che oggi governa la cittá) di uno dei partiti della maggioranza, che ha dovuto dimettersi dal suo storico partito per andar dietro a due consiglieri (Mascione e Accadia) eletti in FI ma, evidentemente, nati indipendenti, con il solo scopo di continuare ad essere l'uomo del sindaco in giunta e, nel contempo, di riferimento di uno dei gruppi politici della maggioranza.

È chiaro che quella operazione, per quanto arguta, non ha avuto gli effetti sperati. Tant'è che i due consiglieri pare pretendano oggi la nomina di un assessore di loro riferimento (esterno, si mormora). È chiaro che, nell'ottica di preservare la maggioranza fuoriuscita dalle urne, occorre che qualcuno dei partiti della maggioranza faccia un sacrificio cedendo un assessorato al nuovo gruppo politico. Il che significherebbe conferire legittimità politica alla presa di posizione di Mascione e Accadia. Legittimità che può essere sancita o smentita solo dal garante, il sindaco, in forza degli accordi pre-elettorali che solo lui e gli interessati conoscono. Né si può pensare che il sindaco faccia a meno dell'unico simbolo del proprio valore aggiunto (i 250 voti in più delle liste); che, tra l'altro, è l'unica persona esperta in fatto di amministrazione, su cui poter contare in caso di impacci, che sono sempre dietro l'angolo.

Per il terzo "incomodo", Sassano, il nodo è di più difficile soluzione, per le modalità singolari e fuori da ogni logica politica in cui ha dichiarato divorzio. E per il fatto che, dalle sue stesse dichiarazioni, non riconoscerebbe più il sindaco come garante.

Volendo invece ripudiare gli ammutinati, il sindaco ha da tener presente quanto detto in premessa: non si deve cambiare la volontà degli elettori. E non può cambiarla proprio chi (sindaco, UDC, Villani, FI) ha trascorso tre anni della precedente consiliatura ad accusare il sindaco Gualano di essere politicamente abusivo per aver ribaltato il responso delle urne con un rimpasto importante, che estromise una componente di centrodestra (FI) fortemente caratterizzante.

Su tale ripudio, però, si pone un elemento: Ciavarella è sindaco (al ballottaggio) per aver preso 321 voti piu di D'Ambrosio. Significa che se D'Ambrosio glie ne avesse tolti via almeno 161, sarebbe ora lui il sindaco, con il centrosinistra. Mascione e Accadia, insieme, contano 225 voti. E sono tra coloro che con D'Ambrosio, dall'inizio dei giochi, avevano avuto più di un approccio.

Tornando all'ipotesi della rottura con i tre "sovversivi" (Sassano, Mascione e Accadia), l'unica alternativa, sarebbe pescare in tre consiglieri che siano almeno "civici", se non di centrodestra (sempre per rispettare la volontá degli elettori) della minoranza, dato per scontato che qualsiasi approccio con il PD sarebbe liquidato subito da molti come una "porcata", in quanto un vero e proprio ribaltone, sempre in riferimento alla volontà delle urne.

Gli unici a rispondere a tali requisiti, che tra l'altro hanno costituito un gruppo unico, sono Gualano, Tancredi e Tiscia, i primi due candidati sindaci sonoramente bocciati dell'elettorato (insieme, costituiscono meno di 1/3 dei voti espressi dagli elettori). Ma si pone comunque il problema della rappresentanza in giunta. Perché qualsiasi matrimonio politico che non veda sotterfugi e giochetti sottobanco e prediliga operazioni chiare e alla luce del sole, secondo la più autentica deontologia della Politica, richiede la rappresentanza del gruppo politico nell'esecutivo. Né si pensi che un appoggio esterno, senza solide basi politiche, possa essere la soluzione: esporrebbe al peccato di ignavia ad intermittenza le "stampelle", e allo sfacelo politico una città he ha bisogno come il pane di chiarezza, trasparenza e lealtà, sfiduciata com'è nei confronti della classe politica.

Un nodo intricatissimo, insomma, con variabili assai precarie, per Costantino Ciavarella. Al quale, in ultima ratio, resta sempre la seconda opzione, più semplice, lineare, sebbene assai sofferta: le dimissioni. Congelerebbe l'imminente diffida prefettizia per l'approvazione del bilancio e avrebbe 20 giorni per azzerare tutto, resettare e ripartire. Certo, è da sottolineare che se la ripartenza dovesse essere con forze diverse da quelle uscite dalle urne, nel rispetto della volontà elettorale, dovrà essere per un solo, nobile motivo: salvare la città da una gestione commissariale di un anno (sarebbe davvero troppo) e condurla, con solenne e pubblico impegno, alle elezioni nel 2020.

 

 

 

Menu