Spesso ho la testa altrove. Sono qui, lontano, ma la mia mente vola oltre l'iperuranio e torna a casa, nella mia terra amata e maledetta, annullando la distanza. Cerco di non essere mai distante, con le parole, le riflessioni, le idee. E non smetto mai di osservarvi, da lontano, da questa mia posizione "privilegiata". Per ora, mantengo una certa distanza - fra mente e cuore - e rifletto, vi osservo, vi "annuso" e seguo gli eventi da lontano. C'è più stimolo da qui, scruto senza lenti né filtri.
Mi piace proiettarmi nello spazio e nel tempo. L'ho sempre fatto, ma ultimamente è diventata quasi un' "ossessione". Mi chiedo - continuamente - se è ancora possibile rimettersi in carreggiata. Se ne abbiamo ancora la forza. E, soprattutto, la voglia. Nonostante la tristezza degli eventi.
Il futuro del nostro pazzo angolo di Gargano è appeso a un filo. Uscire dal "pantano" dipenderà solo da quanto saremo capaci di affrontare e risolvere i nostri problemi, a testa alta, cercando di andare oltre il dissesto economico e sociale.
Occorre un espianto di organi vivi da un organismo che sta lentamente marcendo. E bisogna farlo prima possibile. Occorre l'impegno in "prima linea" da parte di tutti, prima che sia troppo tardi.
D'ora in poi tutto dipenderà da noi: dalla nostra "freschezza", dal fiato e dalla forza nelle gambe. Il terreno di gioco somiglia a un "campo minato". La partita sarà difficile, lunga, pericolosa. Il rischio di "saltare in aria" è altissimo, ma vale la pena entrare in campo, correre, battersi per non perdere l'ennesima partita.
Penso, spesso, a noi ragazzi. Ai miei coetanei, ma anche a quelli più piccoli di me. A tutti quelli che ho conosciuto negli ultimi mesi in paese, con cui condivido la stessa "ossessione". Ho ben impresso nella mente il talento di alcuni di loro. E quando penso a loro, alla loro lucidità, torno ad essere fiducioso.
Chi mi sta osservando in questo momento (mentre scrivo), dice che sorrido. E sa già cosa sto scrivendo. Lo chiama il "sorriso dell'appassionato", del "folle". Quel sorriso che ho solo quando scrivo della mia terra. Mi dice, anche, che sono troppo ottimista. E che farei meglio a non illudermi.
Ma io sono convinto che si possa andare oltre. Sono fiero di appartenere a quella sparuta schiera di gente che pensa che il futuro sarà meno grigio, che ha a cuore le sorti della propria comunità, che porta ancora con sé un po' di rosa antico e un goccio di ocra per cercare di "colorare" simmetricamente il proprio mondo, un po' di lucido ottimismo e voglia di rimboccarsi le maniche, senza mezzi termini...
Perché l'impegno nel sociale, nella politica, nell'associazionismo non è un insieme di nefandezze, porcherie o un qualcosa destinato a "pochi eletti", o solo a chi ha i capelli bianchi, ma deve essere un nuovo punto di partenza per l'interà comunità. Con orgoglio, attenzione, rispetto per ciò che ci circonda.
Se la città non cambia, i giovani vanno via. E se i giovani non restano, la città resterà sempre uguale: vecchia, grigia, vuota. Il nostro contesto si "sfilaccerà" sempre di più, lo scollamento dei valori sarà presto irreversibile.
È arrivato il momento di invertire la tendenza e riaccendere la luce. Per noi, ma soprattutto per chi verrà dopo di noi. E che con orgoglio si torni a dire a tutti: "Io sono garganico, io sono di San Nicandro". Ovunque nel mondo. Essere garganici dovrà essere un vanto e non un'onta. Il Gargano del mare, del pane buono, del "casc'cavadde", dei "pupurate", dell'olio e del vino buono... e dalla gente dal cuore grande.
Molti hanno smesso di sperare, ma io non lo farò. Sono convinto che la mia gente è capace di reagire, nonostante tutto. Non può e non deve arrendersi così facilmente. Crede in un futuro diverso e, soprattutto, darà fiducia ai giovani e a tutti quelli che avranno forza, coraggio, genio, scaltrezza e amore per la propria terra.
Da dove iniziare?
Il primo passo è cominciare ad interrogarsi sul proprio ruolo all'interno nostra comunità. Perché ognuno di noi ne ha uno. Occorre ritornare ad essere padroni del nostro territorio: conoscerlo, rispettarlo, rivalutarlo e, soprattutto, amarlo. Occorre abbattere ogni "muro di gomma". Ragionare, osservare, ascoltare, con lucidità e lungimiranza e, infine, saper scegliere.
Se è vero che noi giovani siamo la chiave della porta del futuro, ora tocca a noi fare il primo passo. E questo mio appello è rivolto proprio a loro, a tutti quelli che, come me, ci credono ancora. A tutti quelli che preferiscono essere "apostrofati" come pazzi, illusi e malati (per la propria terra) da chi assiste al declino senza far nulla...
Fatevi avanti, saremo il battistrada, il nuovo "fronte interno": forte, deciso, snello, attento.
Cerchiamo di guardare oltre il nero e il grigio del dissesto, cominciando a spargere un po' di colore d'ora in poi, insieme. Assumiamoci le nostre responsabilità. Raduniamo le migliori energie del territorio.
Non ha senso vivere senza infamia e senza lodo, continuando a sperare in un aiuto "dall'alto" che non arriverà mai...
A vous.
Packy