Il tempo è prezioso e quello dedicato alla lettura deve essere ricavato fra le mille incombenze sociali, sanitarie e amministrative, quantunque domestiche, che ci assillano. Perciò cerco di cogliere tre piccioni con la classica fava. Cominciamo con la ribitumazione di Via Gramsci – Complimenti all’onorevole Luisa Faro per l’attenzione avuta verso la città dei Sannicandresi che a tamburo battente ha recepito la provvidenziale opera di ripavimentazione, fatta a dovere dalla ditta esecutrice, se si eccettua che ha risparmiato parecchio eseguendo di giorno ciò che altrove viene fatto di notte. Passi quindi per il disagio al traffico patito per una buona settimana, ma il rifacimento della segnaletica orizzontale non è stata prevista a tempo concertato dall’Amministrazione comunale? Il traffico su questa essenziale arteria viaria arranca e in certe ore - complice “l’urbanizzazione” delle vie periferiche che godevano una volta del diritto di precedenza - diventa caotico e pericoloso e fan bene quanti protestano per il pericolo incombente, soprattutto verso i pedoni che vogliano passare da una parte all’altra della ex Vianova, Nóva.
Abbiamo assistito alla seconda “performance” delle “performer” compaesane che hanno seguito e stanno presentando i risultati della partecipazione al laboratorio teatrale curato, mi pare ogni anno lodevolmente, dal compaesano Gabriele Granito.
Paràûl (favole) o, se preferite, “Paràule” vengono sciorinate, mediante autentiche coups de téâtre, dai posti più caratteristici del maggior largo vagamente pianeggiante d Nda la Tèrra, Largo Castello collegato alla Corte di San Giorgio: antri d’ingresso, alla torre occidentale del castello e alla Loggetta baronale; vàgghjh e bball’côn prospicienti immediatamente lo slargo. Sfumature interpretative caratterizzano le pieces raccontate per testi di argomenti favolistici o di leggende paesane, molto rivestiti dell’idioma nazionale, quantunque intercalate da brevi concessioni al lessico dialettale da ottime parlatrici di quello sannicandrese, tranne l’ultima interprete che se ho capito bene si esprimeva in romanesco. Vale la pena di riascoltarle, approfittando dell’ultima occasione che capiterà alle ventuno precise di sabato, 17 agosto. Ah, dimenticavo: entrando Nda la Tèrra, spegnete il telefonino. Eviterete tipiche figuracce nel tentativo spasmodico di spegnerlo mentre penosamente e imperterrito continua a squillare. Amen. Peppino Basile.
Abbiamo assistito all’inaugurazione della Mostra sull’arte plastica dell’amico, scomparso l’anno passato, Renato Marinacci. Amico soprattutto nei suoi anni adolescenziali. Poi, anche per le mie necessità di lavoro, ci siamo persi di vista e l’ho incontrato alcuni anni dopo la sua tragedia familiare, cominciata a piombargli addosso quando aveva appena dodici anni. Certamente la Fede l’avrà aiutato se ha potuto frequentare un provvidenziale corso di grafica artistica, di trovarsi un lavoro provvidenziale, di costituirsi una famiglia e trovare un percorso spirituale che lo ha proiettato nella normalità, anche impetuosa, ma foriera di effetti inimmaginabili, della sua ricerca artistica.
Un vernissage, quello celebrato sabato scorso, San Lorenzo, nel cortile posteriore del Convento, come raramente è stato fatto mai a San Nicandro che pure ha ospitato molte mostre pittoriche.
Dagli interventi degli esperti alle testimonianze degli stretti familiari, all’artistico allestimento delle sue opere esposte con cura apparentemente scarna nel chiostro e nel refettorio del Convento, ai siparietti musicali di Federico Russo e di Antonio Torella.
Beh, alla sequenza delle opere di Renato, fra i primi all’apertura della mostra, mi sono concesso una lenta e ponderata osservazione. Mi sono riservato però di ripassarci, anche per leggere accuratamente le competenti didascalie che accompagnano ciascun quadro, ciascuna scultura; ma non la sua impressionante, reitarata, boccaccesca espressione riprodotta alla maniera di A. Wharol.