Dei giorni nostri

Dei giorni nostri

    …. Il venerando veglio
Entrò non visto da veruno, e tosto
Fattosi innanzi, tra le man si prese
Le ginocchia d’Achille, e singhiozzando
La tremenda baciò destra omicida
Che di tanti suoi figli orbo lo fece…

… Mi restava Ettorre,
L’unico Ettorre, che de’ suoi fratelli
E di Troia e di tutti era il sostegno…

… Per lui supplice io vegno, ed infiniti
Doni ti reco a riscattarlo, Achille!..

… A queste voci intenerito Achille,
Membrando il genitor, proruppe in pianto,
E preso il vecchio per la man, scostollo
Dolcemente.

 

Achille ebbe compassione del provato Priamo, lo aiutò ad adagiare il corpo di Ettore, lavato ed unto dalle ancelle, sul feretro. Nella parte finale del XXIV Canto dell’Iliade, Omero ci fa sentire i lamenti e i dolori della sorella Cassandra, di Andromaca, di Ecuba, di Elena e dei Troiani tutti. Viene celebrato il rito funebre e gli ultimi due endecasillabi  “Questi furo gli estremi onori renduti – al domatore di cavalli Ettorre” chiudono il canto che, secondo alcuni interpreti, sarebbe stata un’aggiunta posteriore all’opera. Al cruento duello tra i due eroi seguito dall’infierire di Achille sul cadavere di Ettore, Omero fa assumere alla vicenda un tono superiore quando il vincitore cede di fronte a sentimenti umani più profondi. Questo il mito che, oltre al coraggio e all’eroismo, violentemente condotti, ci sa parlare anche di umanità e sensibilità.

Oggi, in piena diffusione del Covid-19, la cronaca ci racconta di funerali non celebrati, di cari familiari ed amici,  ricoverati e poi deceduti, senza che alcuno potesse rivedere il loro corpo, di innumerevoli bare allineate che aspettano di essere trasportate da colonne di camion militari in altre città per la cremazione. Non c’è un corteo  funebre o il mesto conforto dei parenti. La struttura provinciale non riesce a smaltire l’elevato numero di casse. La malattia ti mette in lotta contro il tempo perché precaria diventa la capacità ricettiva delle strutture di fronte a richieste abnormi lasciando il malato solo, costretto a misurarsi con se stesso mentre la vita brucia troppo rapidamente. Immagini tristi della storia del nostro Paese e non solo.

“Andrà tutto bene”. Forse tra un po’ di mesi le cose andranno meglio ma non sarà andato tutto bene. Le lacrime di oggi faranno fatica ad asciugarsi. Il dolore piomba addosso a quelle poche spalle che operano nel settore sanitario e funebre che non hanno il tempo nemmeno di poter raccontare le situazioni drammatiche in cui stanno lavorando. “La cosa peggiore, però, è continuare a dire ai parenti che non possono rivedere il loro caro per via della chiusura immediata del feretro” viene amaramente riferito. Nelle nostre città e paesi più colpiti si vive con il sottofondo delle campane e delle sirene. Nella nostra Sannicandro alcune sfortunate famiglie  vivono sconvolte da questa tragedia. Alla scomparsa dei cari, soli negli istanti che precedono il trapasso, segue una continua sofferenza non del tutto consumata. L’ultimo saluto negato cambia la percezione della vita. I morti sono solo un numero e una categoria, per lo più anonimi anziani.  Non c’è stata l’ultima preghiera o il ricordo di chi gli è stato accanto per tutta la vita.

Questi sono alcuni sentimenti sui fatti, ma quali le ragioni di tutto ciò che sta accadendo?

Questi virus, più vecchi della comparsa dell’uomo sulla terra, sopravvivono molto bene nell’organismo dell’uomo, l’ospite preferito per condizioni fisiche e chimiche, un po’ alterate nel tempo e quindi più vulnerabili (soprattutto per svariate e cattive abitudini alimentari). Quest’ultimo virus Covid-19 può portare  alla polmonite e, in particolari situazioni di scarse difese naturali, di un certo stato patologico e dell’età, anche alla morte. Ma la virosi peggiore è l’ignoranza; occorre un’adeguata educazione sanitaria che ci permetta di essere pronti in situazioni di questo tipo per impattare meglio le conseguenze. Una opportuna profilassi e vaccinazioni prima delle stagioni influenzali ci permetterebbero una migliore copertura. Insomma bisognerebbe rendere difficile la vita al virus. E mi fermo qui: non ho titoli, esperienze e conoscenze in merito per poter parlare di queste problematiche cosicché non mi resterebbe che capitolare di  fronte all’ineluttabile virulenza di questi agenti patogeni.  Però, credo di non essere sprovveduto ad affermare che il nostro sistema sanitario, fortemente stressato da una epidemia letale e, soprattutto, fortemente contagiosa, sia andato in panne. Le disfunzioni gestionali e politiche, unitamente alla riduzione degli investimenti,  lo hanno talmente esposto che solo il coraggioso lavoro degli operatori a qualsiasi livello ha potuto evitarne il collasso. Problemi che non si affacciano solo nel 2020 con l’ennesimo arrivo di un virus ma che hanno già, negli anni precedenti, evidenziato emergenze le cui soluzioni  non sono più procrastinabili.

Il Covid-19

La più grande e seria minaccia, da un bel po’ di anni a questa parte, l’allarme a livello mondiale, una pandemia grave come altre registrate nella storia, hanno origine da questo virus veloce e silenzioso, globale e sconosciuto, un invisibile killer a caccia di cibo per attecchire bene nel nostro organismo. Il 31 dicembre 2019 le autorità di Pechino comunicano all’OMS di aver riscontrato diversi casi di polmonite di origine sconosciuta (in verità già dagli inizi del mese erano comparsi i primi pazienti nella città di Wuhan al mercato di pesce e animali vivi). Il 31 gennaio, in Italia, viene dichiarata l’emergenza nazionale chiudendo i voli da e per la Cina. Nel frattempo, il virus, che non ha bisogno di pass doganali ed è già in viaggio da tempo con gli ospiti umani, fa esplodere un contagio che solo l’avvenuta morte di un ottantenne veneto a Vo’  Euganeo e la lotta in terapia intensiva di un paziente a Codogno rendono la situazione tale da fare scattare, il 23 febbraio, l’isolamento per dieci comuni del lodigiano mentre a Sannicandro si festeggia il Carnevale. L’undici marzo tutta l’Italia diventa zona “protetta”  in seguito alla proclamazione di “zona rossa” per alcune province del Piemonte, della Lombardia, del Veneto e delle Marche appena tre giorni prima. A poco più di  un mese  di distanza, nonostante i numeri facciano sempre spavento, la Protezione Civile ci informa del  rallentamento del contagio. I bollettini giornalieri la fanno da padrone e, tra grafici, schemi, tabelle, statistiche mancherebbe solo quella curva di apprendimento e di comprensione del fenomeno, che sicuramente possiedono i politici e gli esperti, non fosse altro che per farci sentire più rassicurati. Intanto le misure di contenimento di attività e di persone sono confermate ed eventuali soluzioni di continuità saranno adottate a macchia di leopardo sul territorio e, gradualmente,  nella tipologia di interventi. Convivremo con il virus come in una guerra di trincea fino a quando un’arma più efficiente ci permetterà di attaccarlo o che lui, indebolendosi , molli la preda  lasciandoci  un senso di inquietudine e di apprensione per il nostro futuro. Perché il punto non è stabilire se ci sarà un altro virus ma solo quando avverrà.

Laura Spinney, giornalista scientifica e autrice del libro “1918. L’influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo” scrive  che «i virus sono sempre un passo avanti rispetto agli esseri umani: quando ne arriva uno nuovo, noi stiamo rispondendo ancora al precedente». Il dubbio è che la lezione che le emergenze sanitarie di casa  nostra e altrui ci hanno lasciato non sia stata seriamente considerata. Con la SARS nel 2003 e con la MERS nel 2012, passando per la suina H1N1, la natura ci ha già avvisato più volte ma la comunità internazionale non ha adeguatamente raccolto questi  allarmi investendo poche risorse nella ricerca di antivirali e, ancora meno, nella messa a punto di vaccini.

E così nel 2019, un nuovo coronavirus fa un ennesimo salto di specie, forse meno letale, ma molto più contagioso, e nel giro di poche settimane è diventato pandemico, un disastro a livello mondiale. Nel 2007 l’Organizzazione mondiale della sanità si limitò a pubblicare un libro ammonendo su quelle pratiche zootecniche e del commercio animale che hanno grande impatto sulla salute umana soprattutto se viene meno il rispetto di una serie di precauzioni sanitarie. La mancanza di interventi coordinati a livello internazionale fa pensare al “si salvi chi può” facendo rispuntare egoismi nazionali che porterebbero al fallimento complessivo dell’Unione Europea. (Mentre scrivo apprendo del prolungamento delle misure di restrizione fino al 3 maggio, salvo alcune eccezioni,  e di tempi, non certo brevi, e di difficoltose intese con l’Eurogruppo relativamente agli aiuti economici).

I costi, economici e sociali, sono duri da sostenere. Sul piano economico stiamo assistendo ad uno choc che le scosse del 2008 o altre crisi sembrano solo marginali rispetto a questa che possiamo definire quasi catastrofica per l’impatto sul lavoro, sulle fasce più deboli  della popolazione, sulla tenuta dei settori produttivi e per il peggioramento del nostro debito già storicamente compromesso. Sul piano sociale la mancanza di relazioni umane fa riflettere sul senso della vita restituendoci  una autentica dimensione sociale lontana dalla futilità e dalle apparenze. Certo, non sappiamo ancora quando tutto questo finirà. Nel frattempo evitiamo che le fragilità e le paure individuali prendano il sopravvento sulla solidarietà e sul buonsenso che, come non mai, ci aiutano a superare le distanze. Per la scuola, le lezioni on line, non a tutti accessibili, rappresentano un rimedio del momento, non sicuramente un modello poiché si presterebbero  a diventare un surrogato di relazioni e socializzazioni, valori insostituibili nella educazione e nel sistema formativo della persona.   

 A questo proposito, lo slogan IoRestoACasa prefigura una specie di lunga quarantena dai contraccolpi diversificati a seconda delle situazioni familiari e personali, del tipo di abitazione, se ce l’hai;  ma sembrerebbe che i rischi maggiori si concentrerebbero  sulle ripercussioni psicologiche e sulle difficoltà economiche degli interessati. Se il virus non guarda in faccia a nessuno, le posizioni di partenza relative alla salute, al lavoro, alla ricchezza o alla povertà, influenzano, invece, decisamente a sfavore dei soggetti più deboli. Insomma costa molto alla nostra salute salvaguardarla con perdite simili. Questo lockdown, protocollo d’emergenza che impedisce alle persone di sconfinare nelle usuali abitudini in modo da salvaguardare la salute propria e altrui, se non la vita, è la strada seguita dai Paesi europei per evitare una ulteriore perdita di tempo di fronte alla diffusione del virus. Una vera democrazia parte dalla corresponsabilità e non è più tempo di demagogie che portano voti ma creano ignoranza. Altrimenti non ci resta che rispolverare quel detto in latino, una lingua “morta” che però continua a godere di ottima salute, che recita così “Vulgus vult decipi, ergo decipiatur” ovvero “Il popolo vuole essere ingannato, e allora sia ingannato”

Mi congedo dai pazienti lettori con il concetto di speranza che un bravo cantautore italiano fa intravedere in alcuni versi di una sua bella canzone (Inverno di F. C. De Andrè):

… Ma tu che vai, ma tu rimani.

Vedrai la neve se ne andrà domani,

rifioriranno le gioie passate

col vento caldo di un'altra estate…

… l'amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino …

La luce del nostro amore non deve languire nell’incertezza del domani, la neve va via per far posto a un’altra primavera. Nel nostro quotidiano la gioia si alterna al dolore. E’ questa la stoffa di cui è tessuta la vita.

Antonio Cristino

Foto dal web

 

 

 

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