"Io, volontario in Africa per curare la vista"

L'intensa esperienza di Gianmatteo Petrucci in Costa d'Avorio

Andare lontano, in Africa, lavorare come volontario per 15 giorni e tornare con nuove consapevolezze. E' il felice racconto di un'ordinaria esperienza di solidarietà, una come tante forse, che cammina silenziosa accanto ai grandi eventi.
Sono queste storie capaci di piccoli, ma decisivi cambiamenti, sia nelle esistenze di chi dà che in quelle di chi riceve. Gianmatteo Petrucci, giovane medico oculista, da anni desiderava andare in Africa a prestare il suo servizio in missione.

35 anni, nato e cresciuto a San Nicandro Garganico, Petrucci ha studiato a Bologna, e ora lavora presso l'Ospedale Maggiore di Riccione. Ha festeggiato il suo compleanno in una missione di Bonouà, una cittadina a 50 km da Abidjan, in Costa d'Avorio. "Sono io, ad aver ricevuto molto di più di quanto abbia potuto fare in 15 giorni" afferma perentorio Petrucci ch ha operato presso il centro di Don Orione, un centro di ortopedia e oftalmologia specializzato nella cura di bambini disabili, diretto dal missionario Don Riccardo Zagaria, originario di Andria.

Nel reparto di oculistica il giovane medico foggiano ha operato soprattutto sulla cataratta, che è la prima causa di cecità in Africa e che, nella maggio parte dei casi, viene ancora curata dagli stregoni dei villaggi con improbabili manovre manuali che causano danni irreparabili.

Nell'ambulatorio sono passate decine di adulti e bambini, di occhi velati da infezioni palpebrali a causa di deficit e di carenze dovute alla malnutrizione, alla mancanza di igiene oppure dagli insetti.

La Costa d'Avorio sembra un'isola felice, rispetto ad altri stati africani, nonostante la miseria dilagante, la corruzione e le ingiustizie sociali: è il primo paese al mondo per la produzione di cacao, il terzo per la produzione di caffè, per non parlare del petrolio, dei diamanti, dell'olio di palma. Eppure tutta questa straordinaria ricchezza potenziale non rimane sul posto.

"In Africa sono stato felice, sono tornato bambino - racconta Petrucci, mascherando un po' di emozione nel raccontare le sue più intime considerazioni - e non riuscivo a capacitarmi di tanta allegria, in mezzo a quella disperazione. Spesso mi fermavo a giocare con le figlie del guardiano dell'ospedale: la più grande, di appena 7 anni, faceva da mamma alle sorelline, sminuzzando coi denti una caramella per condividerla con le altre. Ho riassaporato la gioia delle piccole cose che abbiamo perduto. Quest'esperienza ha aperto una finestra di riflessione dentro di me - prosegue - ma non sono in "missionario", ci tengo a precisare che non mi sento migliore degli altri, continuo a fare la stessa vita di prima. Ciò che ho capito, andando in Africa, è che ognuno di noi può dare un contributo, anche minimo, perché aiutando gli altri, in fondo aiutiamo noi stessi. Ma non è necessario andare in Africa, possiamo anche non restare indifferenti all'anziana vicina di casa".

L'esperienza africana ha africana ha spalancato una porta che in questo caso, continuerà a restare aperta: "Da tempo avvertivo l'esigenza di partire - spiega Petrucci - da quando sono a Riccione ho la fortuna di aver incontrato una persone sensibile, oltre che estremamente preparata, il prof. Luca Cappuccini che mi ha sostenuto in questo progetto e che ringrazio di cuore. La prossima missione sarà in Etiopia".
 

fonte: "Enza Moscaritolo - La gazzetta del mezzogiorno"

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