Ci si pone tante domande, ultimamente. Domande a cui un po' tutti noi giovani vorremmo dare - o ricevere - delle risposte. Sul presente e sul futuro. Col cuore, o razionalmente. Con la corda civile o con la corda pazza, come direbbe Eduardo. Spesso, ciò che sappiamo fare meglio è guardare al passato, piangendoci addosso. A quelli che sono rimasti qui piace sperare che presto le cose cambieranno. Ci si sente dire che presto usciremo dal tunnel.
Ma in che modo? Con giovani senza rappresentanza? Dov'è il giovane “fronte interno” che mette in campo nuove idee e rappresentanza, nuova vitalità e classe dirigente?
Ultimamente, noi giovani siamo diventati quasi afasici. Incapaci di esprimerci, di capirci, di fare gruppo. Siamo, probabilmente, una “generazione senza rappresentanza”, senza infamia e senza lodo. Non abbiamo un “fronte interno”. E se ce n'è uno, è molto liquido: incapace – anche a causa dei tempi – di progettare e lavorare per il futuro. C'è afasia, qui. Manca comunione di intenti.
Ed è per questo che ritengo che ci aspetta un (duro) periodo ambivalente, per certi versi, che ci servirà a riarmare il giovane fronte interno. Perché ogni città ne ha uno. Perché ogni comunità dovrebbe farlo.
Negli ultimi anni, la nostra cittadina è diventata piatta dal punto di vista di crescita, sviluppo, turismo, programmi per il futuro. E questa, ennesima, estate rischia di essere ricordata più per le polemiche politiche tra maggioranza ed opposizione sulla “munnezza” che per le (poche) iniziative di giovani volenterosi.
Cosa sta succedendo al “fronte interno”?
La città si sta svuotando, oltre che demograficamente, soprattutto culturalmente. Stiamo assistendo al panta rei afasici ed inermi, noi giovani, vittime di un “sistema” che non lascia spazio. Stiamo vivendo - per chi ancora vive qui - un dissesto socio-culturale che ha poco a che fare con quello economico. Si vive in attesa che qualcosa cambi, specie noi giovani... senza essere pronti al cambiamento. Senza seminare cambiamento. Senza fortificare il fronte interno, ora.
In attesa, appunto, di un Godot che arrivi. Ed l'idea ormai più diffusa - anche tra noi giovani - è che sia colpa di questo o di quell'altro politico.
La politica, indubbiamente, ha le sue responsabilità. Ma iniziamo a domandarci se la colpa è solo dell'amministrazione di turno. Oggi è colpa di Gualano, anni fa era di Squeo, ancor prima di Marinacci e domani chissà... sarà sempre colpa degli altri.
Il futuro della nostra città è appeso a un filo, sottile. Quel filo è nelle mani (e nella testa) di chi ha scelto di restare, di partire e poi ritornare. E tutto dipenderà da quanto il giovane “fronte interno” sarà capace di affrontare e risolvere i propri problemi.
Tutto dipenderà da quanto saremo bravi a cercare il nostro oro tra le mani, che c'è, ma che continuiamo ad ignorare.
Occorre un espianto. Bisogna tirar fuori gli organi vivi da un organismo che si sta lentamente deteriorando. E gli organi vivi sono quelli dei pochi, pochissimi giovani che ancora ci credono. Consorzio, associazionismo, unità e collaborazione, azione... devono diventare le parole chiave del presente per il futuro.
Menti fresche, volenterose, ma soprattutto professionali e preparate ne abbiamo: abbiamo bisogno di gente che sappia cos'è un bilancio e come si fa, che sappia comunicare in 3 lingue diverse, che sappia di turismo, marketing, comunicazione, che sappia cos'è un crowdfunding, che abbia “mentalità da consorzio” e che abbia voglia di mettersi in gioco, al servizio della comunità. Non per il dio denaro, ma per amore e passione.
I giovani del “fronte interno” dovranno presto maturare skills da mettere in campo prima che sia troppo tardi.
Da dove iniziare?
Il primo passo è cominciare ad interrogarsi sul proprio ruolo all'interno nostra comunità. Perché ognuno di noi ne ha uno. Occorre ritornare ad essere padroni del nostro territorio: conoscerlo, rispettarlo, rivalutarlo e, soprattutto, amarlo. Così come dovremmo abbattere ogni muro di gomma. Penso sia arrivato il momento di ragionare, osservare, prestare orecchio (e braccia), con lucidità e lungimiranza.
Se è vero che noi giovani siamo la chiave della porta del futuro, ora tocca a noi fare il primo passo. E mi rivolgo a tutti quelli che preferiscono essere apostrofati come pazzi, malati o illusi (sì, malato, per la mia terra!) da chi assiste senza far nulla, giudicando gli altri nel modo più “colorito”.
Non vi nascondo che sono preoccupato per la mia città. Perché se la città non cambia, i giovani continueranno ad andar via. E se i giovani non restano e si impegnano, la città resterà sempre uguale: vecchia, grigia, vuota, in mano agli altri, e il nostro contesto si sfilaccerà sempre di più. Occorre potenziare il nostro "fronte interno", continuerò a dirlo, d'ora in poi.
Molto presto, lo scollamento dei valori potrebbe essere irreversibile. Non abbiamo bisogno di giovani senza rappresentanza ma di menti lucide ed attive: un fronte interno forte e preparato, ligio al dovere.
È ora di concentrare le proprie energie sulla riflessione, sul lavoro, sull'azione. Ognuno di noi ha degli skills. Tutti, al di là dei “colori” politici di destra, centro o sinistra, dei cognomi e dei soprannomi, possono scegliere un futuro diverso, qui.
L'estate è finita, l'inverno è alle porte. Occorre, d'ora in poi, ricaricare la corda seria, così come quella civile. Altrimenti meglio andarsene via. Restare ed assistere immobili al regresso vuol dire essere complici.