La salvaguardia del mare e delle sue risorse biologiche deve essere una priorità sia dello stato centrale che delle amministrazioni periferiche. Il mare è un bene, un patrimonio dell’umanità e, come tale deve essere protetto.
Non può essere utilizzato e sfruttato in modo scriteriato e contrario alle sue naturali inclinazioni. Lo sfruttamento deve essere consentito, solo se compatibile con il sistema ecologico generale. Certo, tra le varie forme di sfruttamento ed utilizzo del mare, c’è anche l’attività c.d. “offshore” cioè l’attività finalizzate alla ricerca ed estrazione di petrolio e gas naturale.
In questi giorni si sta facendo un gran parlare e, giustamente dell’autorizzazione rilasciata dal ministero dell’ambiente per l’effettuazione di trivellazione nel mare delle isole Tremiti, a circa tredici miglia dalle isole stesse. La regione Puglia, il comune delle Tremiti, il Parco Nazionale del Gargano e tante amministrazioni civiche stanno facendo sentire la propria voce contro questa decisione del ministro Clini, che mal si concilia con l’ambiente su cui ricadranno inevitabilmente gli effetti ma anche con i rischi che si corrono nelle varie fasi dell’attività off-shore.
L’attività off-shore avviene attraverso precipuamente attraverso quattro fasi l’esplorazione, la perforazione, la produzione ed infine il trasporto. Tutte queste fasi comportano inevitabilmente dei rischi, che per la prima fase sono principalmente di natura sismica, in quanto la ricerca ed esplorazione geofisica avviene con l’utilizzo di elevate quantità di energia che causano onde sismiche, le quali onde registrate da sensori, permettono di individuare la situazione degli strati rocciosi del fondo marino che si ritiene possano contenere idrocarburi.
Tale attività comporta l’utilizzo di sostanze nocive e letali per i pesci, soprattutto per quelli di piccolo taglio e gravi problemi al sistema auditivo dei mammiferi se presenti sul fondo marino. Rischi da cui non vanno esenti anche le fasi successive dell’attività offshore, come ad esempio la fase della perforazione che può durare anche molti anni.
Rischi connessi all’installazione della piattaforma, al traffico marittimo che inevitabilmente dovrà svolgersi e relativo al trasporto dei materiali di perforazione e del personale addetto; allo stazionamento fisso dei c.d. supply-vessel (mezzi di assistenza e di emergenza) nelle vicinanze della piattaforma stessa.
Durante la perforazione poi, si presentano anche problemi e, quindi rischi connessi con lo smaltimento dei detriti della perforazione, con gli scarichi oleosi, con i rifiuti liquidi non oleosi ed anche con gli scarichi civili ed igienici. Poi ci sono i rischi connessi alla produzione, che nel caso venga trovato l’idrocarburo può durare mediamente anche venti anni.
Allora, la domanda che sorgerebbe spontanea è: conviene affrontare tutti i rischi sopra indicati in zona di mare di grande pregio sotto il profilo turistico? Il turismo su cui bisogna puntare nel meridione e, di cui si riempiono la bocca i politici di tutte le colorazione politiche che fine farà in questo lembo di Puglia?
Se si vuole evitare che il nostro turismo legato al mare, la nostra stessa pesca non subiscano delle compromissioni irreversibili è necessario che tutti, sia a livello istituzionale, a livello di associazioni di categoria e cittadini dei comuni interessati a questo lembo di mare facciano sentire forte la propria voce! La Puglia non può e, non deve essere privata del suo bene più prezioso: IL MARE!