Il clima decisamente primaverile ha favorito una buona partecipazione della gente al carnevale sannicandrese.
La sfilata dei carri ha dominato durante la prima serata piuttosto frescolina di domenica, con tre scene benfatte ma che, per la mole dei manufatti, costretti a percorrere soltanto quello che possiamo definire il giro esterno del paese; cioè il percorso stradale che va dalle vicinanze della stazione ferroviaria alla piazza antistante il Convento, per poco più di due chilometri.
Poche ma sempre prestigiose le coppie di “pastore e pacchiana”: riccamente vestito di velluto l’uomo, e preziosamente ben ornata di sete e broccati la donna che indossa, fra l’altro una monumentale gonna plissé, chissà perché chiamata col diminutivo di Vunnèdda.
Soprattutto in serata si è sprigionato lo spirito carnevalesco sannicandrese, grazie ai giovanissimi. L’estro così, rispetto alla cura che da decenni ormai viene dedicato alle maschere che si rifanno al carnevale veneziano, ha preso il sopravvento ed è stato interpretato dai giovanissimi, maschi e sempre più femmine.
Un vero vuoto partecipativo si è verificato, invece, nel pomeriggio del lunedì, se si fa eccezione per una mascherata collettiva del tipo “cung’rtôn”, riccamente partecipata, ma incorniciata in un frastornante fondo musicale a colpi di moltissimi decibel e l’attivazione di concorsi e passerelle invitanti alla “tarantata” presso il Circolo Unione e di una mostra storica sul carnevale e una porzione delle cartoline emesse durante precedenti edizioni del carnevale sannicandrese, curate rispettivamente dal maestro-fotografo e pittore Vittorio Tancredi e dal filatelico Peppino Pertosa, presso la sede della Proloco, lungo i due corsi centrali di San Nicandro.
Un certo incremento di partecipazione ha registrato la terza serata, dalla temperatura alquanto pungente. Belle maschere in gruppi di donne e invece di vestiti poveri, belle divise militari da ufficiale o eleganti palandrane da “Bell’epoque”; la riedizione dei tre carri e, già verso le diciannove, frotte di giovani rampolli di allevatori con grossi campanacci rintoccate per le vie principali hanno anticipato la “morte del carnevale” duemilaquattordici, trascorso, ahinoi, senza ignavia e con poca lode.
Qualcuno continua a sperare per il Carnevaletto.