L’incessante battaglia dei radicali italiani portata avanti anche con scioperi della fame del loro leader Marco Pannella, i richiami delle istituzioni europee ed, il recente messaggio alle camere del Presidente Napolitano collocano l’amnistia ed indulto al centro dei lavori dell’agenda politica relativa al funzionamento ed efficacia della giustizia penale, all’annoso problema del sovraffollamento delle carceri italiani ed alla durata eccessiva dei processi penali.
La situazione di invivibilità, al limite dello scoppio delle nostre carceri impongono un serio, responsabile e coraggioso intervento della politica svincolato da logiche di consenso elettorale. La situazione delle carceri italiane è talmente grave che alcuni Tribunali di sorveglianza hanno, recentemente, sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 147 del codice penale (casi di rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena), per la parte in cui non prevede che si possa ordinare il differimento della pena carceraria anche nel caso di una prevedibile esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità, anche se la corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi sul presupposto, di non potersi sostituire al legislatore essendo possibili una pluralità di soluzioni al grave problema a cui deve però porre rimedio il legislatore nel più breve tempo possibile.
La corte, comunque consapevole dell’esistenza del problema, si è riservata, in caso di inerzia del legislatore, di agire in un eventuale e prossimo nuovo ricorso. Certo quando si parla di provvedimenti di clemenza, non si può non tenere conto della sicurezza dei cittadini, esigenza legittimamente avvertita, ma è evidente che non può, e non deve, essere il carcere l’unico rimedio. Oggi è più che mai necessario considerare l’amnistia e l’indulto non come atti di clemenza ma come veri e propri atti di giustizia, non una resa dello stato ma un’occasione di recupero sociale delle persone condannate, di vera attuazione del 2° comma dell’articolo 27 della costituzione: “ le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
La necessità dell’adozione di entrambi i provvedimenti di clemenza è sottolineata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quando afferma che :“l'opportunità di adottare congiuntamente amnistia e indulto deriva dalle diverse caratteristiche dei due strumenti di clemenza. L'indulto, a differenza dell'amnistia, impone di celebrare comunque il processo per accertare la colpevolezza o meno dell'imputato e, se del caso, applicare il condono, totale o parziale, della pena irrogata (e quindi - al contrario dell'amnistia che estingue il reato - non elimina la necessità del processo, ma annulla, o riduce, la pena inflitta)''.
Infatti ’indulto è un provvedimento di clemenza a carattere generale che estingue in tutto od in parte la pena inflitta, ferma restando la condanna ed, i relativi effetti penali (es: interdizioni, inabilitazioni ed incapacità). L’amnistia invece estingue il reato e, può essere propria od impropria a seconda che intervenga prima o dopo la sentenza di condanna. L’adozione congiunta di tali provvedimenti oltre ad abbattere significativamente le presenze dei detenuti negli istituti penitenziari, determina anche un notevole abbattimento del carico di lavoro per la magistratura di sorveglianza, ma anche il carico di lavoro dei giudici della c.d. cognizione, in quanto il provvedimento di amnistia consentirebbe di smaltire velocemente numerosi processi per reati minori i c.d. “reati bagatellari”, la maggior parte dei quali peraltro non riesce a superare lo scoglio della prescrizione, con la possibilità per i giudici di dedicarsi ai processi per reati più gravi e, con imputati in custodia cautelare, che finiscono spesso di scontare la pena prima che la stessa diventi definitiva!
Per la concessione dell’indulto e dell’amnistia nel 1992 sono cambiate le regole. Infatti, prima della modifica dell’art. 79 della costituzione, l’amnistia e l’indulto erano concessi dal Presidente della Repubblica con proprio decreto su legge di delegazione delle camere approvata con la maggioranza delle leggi ordinarie. Ora, dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale del 6 marzo 1992, n. 1, la competenza è passata alle camere che, per approvare la legge di concessione devono deliberare con la maggioranza dei 2/3 dei membri di ciascuna camera, quindi 440 deputati e 220 senatori.
Fino agli inizi degli anni 90, venivano adottati con cadenza quasi triennale provvedimenti di amnistia e indulto. L’amnistia non viene concessa dal 1990, mentre l’indulto è stato concesso nel 2003 quello denominato “indultino” cioè la sospensione condizionale dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni (provvedimento viziato di incostituzionalità dichiarato con le sentenze n. 278 del 15 luglio 2005 e, n. 255 del 4 luglio 2006) e, nel 2006 l’indulto vero e proprio concesso per tutti reati commessi fino al 2 maggio 2006 e, nella misura di anni tre per le pene detentive ed euro 10.000, 00 per le pene pecuniarie.
Sicuramente la politica della repressione e dell’abbandono nel breve periodo sono sicuramente più vantaggiosi, ma la rieducazione ed, il recupero sociale alla lunga danno maggiori frutti.
La dignità dell’individuo, bene insopprimibile, va garantita anche all’interno delle istituzioni carcerarie e, data la consistenza attuale della popolazione carceraria, tale garanzia è una mera chimera!