Ricordo al futuro

   Noleggiare una videocassetta negli anni Novanta costava 4mila lire dalle nostre parti, potevi tenerla per un giorno intero e guardarla quante volte volevi. Poi c’era l’offerta delle tre vhs per 10mila lire e le tenevi tre giorni. Noi a casa le consumavamo.

    I più grandicelli non possono aver dimenticato Video Slam, dalle parti di Piazza del Popolo; all’epoca era chiamata ancora così l’attuale Piazza Aldo Moro, anche se tutti continuano a conoscerla con la vecchia toponomastica.

    È così che è iniziata la mia “cultura” cinematografica, accompagnata dai film che trasmettevano alle 20 e 30 in prima serata, con tanto di videoregistratore da mettere in pausa durante gli stacchi pubblicitari, anche se a quello ci pensava mio fratello.

    Un po’ tutti ci ritroviamo in questi ricordi, o almeno gli over trenta, generazioni che riescono ancora a dare valore ai film, alla musica, ai libri. Valore economico intendo; la maggior parte dei ragazzi, oggi, non la vede esattamente in questo modo. Perché pagare per avere qualcosa che puoi scaricare gratuitamente da internet? Già, perché? A volte me lo chiedo anch’io.

    Vaglielo a spiegare che se tieni veramente a un artista, la cosa più sensata da fare è proprio comprare il suo prodotto. Il fascino di avere un film, o un disco, in originale, ha tutto un altro sapore. E c’è chi si chiede come mai il mercato cinematografico e discografico sia in crisi: fatevi due conti.

    Il primo film che andai a vedere al cinema è stato Weekend con il morto; ero piccolissimo, il Cinema Italia era grandissimo. Col tempo è andato sempre più restringendosi, non solo perché ero io ad essere cresciuto. Non oso immaginare come andavano le cose quando la nostra cittadina ne aveva ben tre di sale cinematografiche, escluse quelle all’aperto.

    Era immensa anche Video Slam nei miei ricordi. Penso avesse le dimensioni di un garage, o poco più; per me era una distesa di scaffali, divisi per genere, più un’area a me ignota separata dal resto del locale da una tenda rossa: lì ci andavano solo gli adulti. Non so cosa darei per tornare indietro nel tempo e rivedere tutto con gli occhi di adesso. Non sono un nostalgico, ogni epoca la apprezzo per quello che ha da offrire, però non mi dispiacerebbe. Rivedere qualche momento della propria infanzia, i propri genitori da giovani, la propria città decenni prima. Se fossi uno sceneggiatore ci farei un film, ma non credo riuscirei a fare meglio di quello che – a mio avviso – è uno dei lungometraggi meglio riusciti nella storia del cinema: Ritorno al futuro.

    Non credo esista qualcuno che non conosca la storia del liceale Marty McFly, migliore – e unico – amico di Doc Emmett L. Brown, lo scienziato che ha trasformato una DeLorean in macchina del tempo. Marty si ritrova catapultato trent’anni prima, nel periodo in cui a Doc venne l’idea del viaggio nel tempo tramite il flusso canalizzatore, e quando i suoi genitori si conobbero. Tra le mille peripezie per riuscire a tornare nel suo presente, sua madre Lorraine si innamora di lui, non più del padre George, mettendo a rischio la sua stessa esistenza futura.

    Facendo leva su uno dei più grandi desideri dell’uomo: il viaggio nel tempo, abbiamo tutti amato le avventure di Marty McFly. Riesce come pochi film a farti amare i personaggi, i luoghi, le vicende. Una colonna sonora magistrale e una trama avvincente, seppur intrecciata. Entrato a far parte della cultura di tutti, scommetto che chiunque, ascoltando Johnny B. Goode, fa rimando alle scene in cui viene suonata sul palco del “Ballo incanto sotto il mare” o, pensando a una DeLorean DMC-12, la consideri più come macchina del tempo che come automobile.

    Inizialmente interpretato da Eric Stoltz, non riuscirei mai a immaginare le vicende di Hill Valley senza Michael J. Fox, colui che ha dato definitivamente vita al personaggio. Seconda scelta dopo Fox, per la produzione non era particolarmente idoneo ad interpretare quel ruolo, così pressarono nuovamente per l’attore di Casa Keaton, stavolta con successo. Lo scotto da pagare fu di 3 milioni di dollari. Non ho mai visto Stoltz nei panni di Marty, ma qualcosa mi dice che rifare tutto da capo fu la scelta migliore.

    Seguito da altri due film, Ritorno al futuro divenne una trilogia, passando dal presente del 1985, al passato del 1955, fino al futuro del 2015 – nel secondo capitolo – per poi tornare nel vecchio West del 1885, nel terzo e ultimo film della serie. Al centro delle vicende, ritroviamo spesso la figura dell’orologio, emblema del tempo.

    Ben azzeccata anche la scelta di Christofer Lloyd nei panni di Doc. Inizialmente riluttante, dovette ricredersi dopo aver letto la sceneggiatura; e menomale, mi viene da aggiungere.

    Nel cast anche la presenza di cameo: Flea, bassista dei Red hot chili peppers, interpreta Needles, diavolo tentatore di Marty in due scene, e gli ZZTop che suonano durante l’inaugurazione dell’orologio della torre. In più un giovane Billy Zane tra gli scagnozzi di Beef, poi conosciuto dal grande pubblico in Titanic nelle vesti di Cal.

    Più volte, tra i fan della serie, è scattato il desiderio di vedere un seguito o un rifacimento in chiave moderna, mi auguro non avvenga mai. Non solo sarebbe impossibile rivedere sul grande schermo Michael J. Fox, un destino beffardo l’ha portato a contrarre il morbo di Parkinson, ma soprattutto perché non vedo il bisogno di rovinare l’ennesimo capolavoro del cinema. «Non potrà mai succedere – ha affermato Robert Zemeckis – fino a quando Bob Gale e io non saremo entrambi morti. Poi sono sicuro che lo faranno, a meno che non ci sia un modo per le nostre agenzie di evitare che ciò avvenga. Per me sarebbe un oltraggio. Specialmente perché si tratta di un bel film. Sarebbe come dire “rifacciamo Quarto Potere, chi scegliamo per il ruolo di Kane?”. Una cosa folle, perché mai qualcuno vorrebbe fare una cosa del genere?» 

    Ritorno al futuro è un film senza tempo. In qualunque momento dell’anno puoi dire di averlo visto da poco in tivù, senza sbagliare. E se mai qualcuno non l’avesse ancora visto, GRANDE GIOVE, rimediate ai vostri errori.

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