Periodo di esami. Esami di Maturità per l’esattezza. Il momento in cui si porta a compimento un ciclo di studi durato ben cinque anni, o tredici se vogliamo dirla tutta. Sì, perché dopo la Maturità dici addio alla Scuola, salvo poi tornarci da docente o collaboratore scolastico. Quel tipo di Scuola almeno, perché l’Università è tutta un’altra storia.
Anno di sorprese nella scelta delle “traccie”. Per chi si fosse perso qualcosa: quelli del Ministero non conoscono bene le regolette per formare i plurali e così, dopo aver raccomandato tanto gli studenti di non dar retta alle notizie false circa le ipotetiche tracce d’esame, ecco che sul sito del MIUR spuntano le “Traccie prove scritte”. Per quanto mi riguarda, ho pensato inizialmente che la segnalazione fosse una baggianata per creare scompiglio. E invece no, ero io a sbagliarmi, era il Ministero: sono proprio dei caproni.
Ma vuoi vedere che era un indizio sulla traccia di Italiano? Che popolo di malpensanti! Sarei curioso di sapere cosa ne pensa Vittorio Sgarbi, visto che lui – di capre – se ne intende.
Hanno chiesto scusa per l’errore poi, come se bastasse. Così ho immaginato una scena, proprio durante la valutazione della prova.
«L’elaborato è ottimo. I concetti sono chiari e ben esposti. Non ti do il massimo dei voti perché hai commesso qualche errore di grammatica qua e là».
«Ma no Prof, è stata distrazione, chiedo scusa».
«Chiedi scusa? Allora va bene, ti do il massimo».
Più facile trovare un alieno sotto la doccia di casa, che sembrare credibile una risposta del genere.
Allora che facciamo, lo condanniamo alle fiamme dell’inferno? No, come minimo il dipendente dovrebbe perdere quel posto di lavoro, ci saranno altre mille cose da fare.
Per un errore così piccolo, per una “i” di troppo?
L’errore non è piccolo, o meglio, non l’errore in sé. Non avere il minimo dubbio nello scrivere una parola, quello sì, è grave; dubbio che gli avrebbe consentito quantomeno di controllare se stesse scrivendo correttamente. E invece no, è dipendente ministeriale lui; non sbaglia e, se mai accadesse, mica puoi lasciarlo senza lavoro, con una moglie e un figlio sul groppone?
Ma no, restiamo in uno stato di mediocrità generale (e devo ammetterlo, ero in dubbio se scriverla maiuscola o minuscola la “S” di stato).
Restando in tema Caproni – questa volta maiuscolo –, fossi stato un maturando, cos’avrei scritto? Probabilmente niente.
Devo fare mea culpa: io, onestamente, non lo conoscevo. Parlo al passato perché la curiosità mi ha spinto a leggere qualcosa, dalla poesia della traccia alla sua biografia e, in tutta onestà, non mi dispiace affatto l’autore. Considerando il periodo in cui è vissuto, credo sia da studiare gli ultimi giorni di scuola, quei primi di giugno che ho sempre snobbato. Mannaggia a me, anzi, mannaggia a loro, questa è una vendetta bell’e buona. Quando pensi a un possibile autore che ti daranno per l’esame, ti teletrasporti di almeno un secolo addietro. Il ’90 non può essere la data della dipartita di chi porterai all’esame, il ’90 è l’anno dei mondiali di calcio in Italia, dei Metallica che stanno componendo il Black album e il grunge è in fase di ascesa.
È una vendetta nei confronti di tutti. Quando con la testa satura di matematica-italiano-latino-fisica-geografia astronomica, siamo già proiettati alla futura vita da universitari; quando «Stavolta farò la scelta giusta, non come quando avevo tredici anni ed ero già chiamato a scegliere cosa ne sarebbe stato della mia vita, iscrivendomi a questo o quell’altro indirizzo», e poi sceglierò Milano, perché ci va anche Antonio, ci abita zio Peppino e possiamo ambientarci meglio.
Poi l’ultima estate da liceale, in sospeso tra un falò in spiaggia e i risultati della Maturità; quelli che prima attendevi per il giorno di Sant’Antonio, quest’anno arriveranno a metà luglio, e già questo ti fa sentire diverso.
Passando dal «Meglio sessanta che sessantuno», al «Però meritavo di più», è tutto già scritto su una ruota che gira. La storia si ripete sempre, tra temi svolti impilati come cartucce in arsenali da guerra e formule scritte sul palmo della mano, ben nascosti agli occhi vigili della commissione.
Cosa ne sarà della mia vita poi si vedrà, e se proprio l’Italiano non è il mio forte, un posto al Ministero posso sempre trovarlo.