Non compare in nessun elenco ufficiale, non è segnalata da alcun portolano. Tuttavia, a 4,7 miglia a sud delle Isole Tremiti (riserva marina "protetta" sulla carta dal 1989), a 61 metri di profondità, giace il relitto di una motonave inabissata a pieno carico (t.s.l. 495 - tsn 250) battente bandiera ellenica, iscritta nel registro del Pireo. Si tratta della Elen, affondata in circostanze nebulose il 26 settembre 1974, al largo di Rodi Garganico.
Come per tutte le carrette della morte nessuno l'ha mai reclamata. Né tantomeno la magistratura (all'epoca competente territorialmente era la procura della Repubblica di Lucera: un autentico porto delle nebbie, alla voce nave EDEN V) è stata mai dettagliatamente informata del "sinistro" dalla Guardia Costiera (Compamare Rodi Garganico e Capitaneria di Porto di Manfredonia).
Nel 2010 ho intervistato il contrammiraglio Salvatore Giuffrè, allora a capo della Direzione Marittima di Bari, e non mi ha fatto menzione di questo naviglio sommerso; forse perché non l'avevano messo al corrente. O forse perché l'oblio è una vernice istituzionale. Ben cinque anni fa, l'assessore Guglielmo Minervini, promise pubblicamente, il 29 ottobre 2009, al convegno di Sannicandro Garganico, dinanzi a cittadini, sindaci, giornalisti, biologi marini, subacquei, velisti, ecologisti, e un ufficiale della Guardia Costiera che l'ente Regione si sarebbe occupato del grave problema. Da allora, però, sia l'assessore Minervini che il governatore ecologista Nichi Vendola, su questo tema risultano banalmente latitanti.
Quante altre bombe ad orologeria custodiscono segreti e rilasciano veleni dal fondo del Mediterraneo? La domanda è la stessa che inseguiva nel 1995, prima di essere assassinato, il capitano di vascello Natale De Grazia che indagava su 180 affondamenti dolosi. In uno degli ultimi appunti, c’è scritto:
«Le navi? 7/8 italiane e a Cipro. Dove sono? Quali sono? I caricatori e i mandanti. Punti di unione tra Rigel e Comerio. Hira, Ara, Isole Tremiti. Basso Adriatico. Porti di partenza: Marina di Carrara m/v Akbaya. Salerno/Savona/Castellammare di Stabia/Otranto/Porto Nogaro/Fiume. Sulina Beirut. C/v Spagnolo. Materiale radioattivo».
Hira, Ara: sono gli stessi nomi di una nave poi affondata a ridosso del Gargano il 16 dicembre 1988, conosciuta come Edev V.
La mia ricerca ha salpato gli ormeggi nel 1986 quando ignoti affondarono dolosamente nei pressi dell'Isola di Pianosa alle Diomedee, la nave dei veleni Panajota (ex Nounak, ex Vosso). Chissà se ai caporioni in alta uniforme di Maricogecap a Roma e alla Guardia Costiera di Manfredonia i seguenti nomi dicono qualcosa:
Manattia, Japas-Greco, Armant, Silverski, Mirsti, Despinat, Mehmet Guveli, Rolleremme, Gulf Eagle, Ketty, Selin, Deval, Storm, Silni, Esram, Prosperità, Nedal, Raduzhny, Osogovo, Limmat 1, Omsliy 143, Vasiliy Shuskhin, Et Suyo Maru, Panajota.
Sotto l'occhio comprensivo dello Stato e delle autorità locali, per qualche decennio le navi Irene e Isola Celeste di proprietà dell'Eni, hanno scaricato al largo delle Tremiti e del Gargano, i rifiuti chimici prodotti dal petrolchimico di Manfredonia. lew consueguenze ambientali e sanitarie si pagano ancora oggi.
L'8 marzo 1998 al largo del Gargano affonda il peschereccio Orca Marina di Manfredonia. Muore il giovane pescatore Cosimo Troiano, 26 anni e padre di 4 figli. Il suo corpo rimane imprigionato nello scafo inabissato perché la rete si era impigliata nei container, che i miei amici lavoratori del mare chiamano in dialetto sipontino "i cassun". All'epoca intervistai il comandante della guardia costiera locale, Vincenzo Morante: l' ufficiale di Marina mi rivelò che gli specialisti del Comsubin della Marina militare nel recuperare la salma del marittimo avevano avvistato i container giacenti a 90 metri di profondità. E ne scrissi sul quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno il primo agosto 1998.
Secondo la testimonianza ufficiale resa in sede parlamentare (audizione segretata in Commissione Ambiente) dall'ammiraglio Bruno Branciforte, il numero delle carrette dei veleni giacenti sui fondali della Penisola ammonta a 55. Un numero ampiamente sottostimato: in realtà, attualmente la quamntità di navi affondate dal 1967 ad oggi, in circostanze mai chiarite dalle autorità italiane, sia giudiziarie, sia governative, è di molto suoperiore. Si naviga intorno alla cifra di 204 relitti sospetti, mentre i container imbottiti di scorie pericolose risultano circa un migliaio. Indefinita, invece è la quantità di fusti e bidoni pieni di rifiuti tossici e radioattivi scaricati nelle acque territoriali italiane.
Nel 2009 il Governo Berlusconi (ministro Prestigiacomo e procuratore capo antimafia Grasso) ha insabbiato la vicenda di Cetraro in cui è coinvolta la 'ndrangheta: l'imbarcazione è posizionata con la prua verso Messina, al limite delle acque territoriali, esattamente a 487 metri di profondità, con il suo carico mortale. La nave inviata dalle autorità governative, ovvero la Mare Oceano del patron Attanasio (sodale berlusconiano: alla voce David Mills) ha filmato un altro relitto affondato a 3,7 miglia di distanza dalla Cunski. In Calabria, più di qualche magistrato dovrà dare spiegazioni al popolo sovrano (nel cui nome si "amministra" la giustizia) e al Csm. E' fondamentale che i servi dei boiardi di Stato tengano bene a mente un semplice assunto: i crimini contro l'umanità non vanno in prescrizione.
Per la cronaca: il ministero di Grazia e Giustizia, ha rifiutato a un magistrato della Procura della Repubblica di Livorno la somma utile per il recupero di un container affondato al largo dell'Isola d'Elba.
L'Italia, si sa in tutto il mondo, è zona franca. Gli inquinatori fanno affari indisturbati, grazie alle provvidenziali disattenzioni dello Stato tricolore. Insomma, non rischiano neanche una multa, e lo sanno, così ne approfittano da 30 anni e passa seminando spazzatura che uccide. A pagare è l'ignara popolazione, in termini di malattie inguaribili e morte, compresi i rari giornalisti indipendenti che osano toccare questo dramma.
Fonte: Gianni Lannes (http://sulatestagiannilannes.blogspot.it)