Appassionato da sempre di film biografici, mi sono ritrovato a guardare un film di un noto personaggio che ha contribuito alla storia della nostra Italia dagli anni venti fino alla fine degli anni quaranta. Stiamo parlando di Giuseppe Di Vittorio, nostro corregionale, di Cerignola, sindacalista e noto per essersi battuto per i diritti dei lavoratori.
Giuseppe, chiamato da tutti Peppino, nasce in una famiglia umile, la madre casalinga e il padre bracciante delle terre dei marchesi Rubino-Rossi di Cerignola. Una storia come tante altre, quella dei braccianti del Gargano, e non, che andavano a lavorare già da bambini. Ciò mi porta alla mente il racconto dei miei nonni, che già dalla tenera età, dovevano andare a lavorare per sostenere la famiglia, così come Peppino, che dopo la morte del padre, per un incidente sul lavoro, ha dovuto sostenere col lavoro la sua famiglia.
Nel film notiamo la potenza e il carattere meschino del marchese, che per compassione, dopo la morte del marito, regala alla signora Di Vittorio 3 sacchi di fave. Per tutta risposta la madre di Peppino, gli dice che tre sacchi non bastano per campare nemmeno per un mese. La risposta del marchese è confacente al suo carattere, egli ricorda alla signora che suo marito gli ha cagionato un danno in quanto gli ha fatto scappare due cavalli. Qui si nota tutto il retaggio del personaggio che bada più al denaro che alla vita di un uomo.
Successivamente Peppino va a lavoro e, dopo un pò, si ribella al Massaro, chiedendo una paga dignitosa. Peppino dice che un pezzo di pane e un goccio d’olio non possono saziarlo. Dopo vari interventi degli altri lavoratori anche quelli più grandi, il Massaro abbonda di un po’, ma il giorno seguente mentre Peppino e il suo amico e collega Ambrogio, stanno pulendo la stalla dei maiali, il Massaro accompagnato da un suo collega picchia Peppino e Ambrogio, dicendo che non dovevano mai più aprire bocca, altrimenti avrebbero perso il lavoro. La notte stessa Ambrogio si sentì male, e muore li in mezzo alla paglia, al freddo, con intorno Peppino, Nicola e Tonino.
Peppino dispiaciuto e arrabbiato della vicenda, fa una promessa: nessuno più doveva soffrire e morire per un pezzo di pane. Peppino cresciuto, inizia ad organizzare i primi scioperi; Insieme a Nicola, Tonino ed Anita, che poi diventerà sua moglie. Il loro sogno è aprire una scuola e, pertanto vanno in piazza a chiedere delle offerte per comprare il materiale scolastico. Peppino sin da piccolo era molto bravo e interessato alla scuola, tanto da dare in cambio le sue scarpe e due soldi ad un mercante ambulante per comprare un vocabolario, in modo da poter imparare tutte le parole che non sapeva. Ai marchesi ciò non andava bene, perché i “CAFONI”, come venivano chiamati i braccianti, se imparavano a leggere e a scrivere, potevano andare al voto e votare i partiti di sinistra. Nel film infatti si vede come provano a corrompere la madre di Peppino con dei soldi, per evitare l'apertura della nuova scuola.
Peppino già all’ età di 12 anni si avvicinò alle idee anarchiche e iniziò l’ attività politica e sindacale con Aurora Tasciotti, dopodiché si spostò al socialismo, e a 15 anni fu tra i promotori del circolo giovanile socialista cittadino e nel 1911 divenne dirigente della Camera del Lavoro di Minervino Murge.
Vi invito a guardare il film, non voglio spoilerare nient’altro, per farvi rimanere la curiosità di andare a scoprire la storia. Il film ( Pane e LIbertà) è interpretato da grandi attori del panorama italiano, ovvero Pierfrancesco Favino nel ruolo di Peppino, ma anche Francesco Salvi, Giuseppe Zeno e moltri altri. Lo potete guardare su Raiplay. Ci tengo a precisare che non mi identifico di nessun partito politico, mi piace conoscere la storia dei grandi personaggi che hanno contribuito al bene del nostro paese.
Ho voluto scrivere questo articolo, innanzitutto per far conoscere la storia di Giuseppe Di Vittorio ai più giovani, e spero che venga ricordato più spesso nella nostra regione. Bisogna riflettere sull'importanza della scuola, pensare che molti bambini non potevano andarci, perché dovevano lavorare.
L’altra motivazione è che, purtroppo c’è ancora molto sfruttamento nel mondo del lavoro, soprattutto nel nostro meridione. I giovani, spesso, sono sottopagati e costretti a lavorare nei campi, o nell’ edilizia, o nella ristorazione; Ad esempio, la cronaca ci restituisce storie di “imprenditori” che dicono ai ragazzi “tanto sei giovane, venti euro al giorno ti bastano, e lavori dodici tredici ore al giorno". Magari quei ragazzi non hanno alternative e sono costretti a dormire in un sottotetto, o in un sottoscala in mezzo alle cassette della frutta e verdura. Un altra piaga è il lavoro in nero, e quindi senza alcun diritto di cui ogni lavoratore può godere.
A noi giovani potrebbe anche bastare la venti euro al giorno, ma quella venti euro non può permetterci di costruirci un sogno, di comprarci una camicia o una maglietta, o di uscire il sabato sera per andare in pizzeria con la fidanzata. Andare a lavoro e non sentirsi dire nemmeno un grazie per le ore di straordinario. Spezzarsi la schiena sotto al freddo e sotto la pioggia che bagna i nostri sogni, mentre si scaricano delle pedane o si scaricano delle cassette. Sentirsi dire, muoviti! Ma sei addormentato?, quando sei arrivato quasi a fine giornata e non hai nemmeno voglia di ribellarti e non hai le forze nemmeno per uscire a fare una passeggiata.
Scrivo questo articolo, per far capire alle persone che continuano a dire che noi giovani non vogliamo lavorare, che come disse Peppino, forse con una paga più dignitosa e un pezzo di pane in più saremmo tutti più contenti. Auguro una buona giornata a tutti i lettori.
Costantino Papa