Ispirato da Le origini della gastronomia garganica, libro di Michele Torella
Ultimo appuntamento culinario in attesa del Natale, dopo le incursioni nella storia e nelle ricette della pascka munescka e du pupuràte. Oggi parleremo du crùstele.
Questo dolce, che di per sé proprio un dolce non sarebbe, lo conosciamo ormai tutti. Si tratta di una pasta stesa, tagliata a strisce più o meno sottili disposte a spirale come a formare una sorta di fiore, e il risultato artistico viene poi fritto. Questo diventa un dolce nel momento in cui viene condito con miele di fichi, mosto cotto, miele d’api, zucchero…
A differenza di quanto abbiamo detto nelle due puntate precedenti, questa volta siamo piuttosto sicuri che non si tratta di un dolce esclusivamente sannicandrese, e che questo ha una diffusione su un’ampia porzione di territorio entro cui variano sensibilmente i nomi attribuiti dai parlanti locali: caranci, nevole, crespole, rosette, scartellate, scarole…la domanda è perché mai noi abbiamo adottato il nome crùstela, e se questo può fornirci qualche indicazione sull’origine di questo prodotto.
Un ringraziamento senza fine qui andrebbe all’indimenticabile prof. Giuseppe “Pinuccio” Cristino che, come se non bastassero gli altri contributi in materia, aveva individuato il latino crustulum. Nel farlo ci ha tirato uno scherzetto, lasciandoci senza aggiungere altro, in un enigmatico vuoto, sapendo che qualcuno avrebbe prima o poi colto la sfida e provato a portare a termine l’opera.
In realtà era abbastanza per far lavorare studiosi sbarbatelli alla ricerca delle origini di crùstela. A quanto pare, proprio come nel caso di pupuràte, nell’antica Roma non si era affatto all’oscuro di questi dolci, che però dovevano seguire ricette diverse. Simili preparazioni si fermavano alle lagane (se vi state chiedendo se ci sia una parentela con la nostra làina o con le lasagne, la risposta è SI!). Apicio in questo caso non aveva pensato di friggere la pasta in quel formato là, ma secoli dopo nel resto del crescente Impero si affermò il consumo del crustulm, che forse somigliava a qualcosa di più vicino a un biscotto, ma l’aspetto più affascinante e che potrebbe aiutarci a capire perché noi abbiamo chiamato così i crùstela, è il fatto di aver associato il consumo ad una festa popolare, che mentre nel nostro caso è il Natale, a Roma erano i Neptunalia.
Anche in questo caso la storia completa è nel libro, e per chi vorrà leggerla tutta, insieme a quella di decine di altri prodotti tipici, i proventi della vendita del libro andranno al Bambin Gesù di Roma, con una bella donazione che scalderà il Natale per i più piccoli meno fortunati.
Quanto ai vostri ospiti, non mancate di preparare o acquistare da mani esperte i crùstela, e offriteli loro. Quando ci verserete sopra un delizioso méle de fìcura, saprete che state raccontando una storia millenaria, fatta di eroi che non andavano a cavallo impugnando l’elsa di spade insanguinate, ma ndròccele e tavulére, inzaccherati di farina e pronti a conquistare ogni angolo del mondo. Buon Natale!