Michele Gioiosa intervistato da "il nuovo Berlinese"

Passato, presente e futuro in un'intervista a cura di Michela Buono

Michele Gioiosa, maestro di musica sannicandrese, è stato intervistato dal giornale "il nuovo Berlinese", la prima rivista online in italiano su Berlino, che si rivolge principalmente a lettori di lingua italiana fondata a gennaio 2012 da Emilio Esbardo.

L'intervista è stata curata da Michela Buono, che vi riportiamo qui di seguito.

Maestro Gioiosa, Lei ha studiato pianoforte in Italia con Michele Marvulli e, all’estero, seguendo i corsi di perfezionamento al Mozarteum di Salisburgo con Sergio Perticaroli. Che cosa Le hanno lasciato queste esperienze da un punto di vista musicale ed umano?

Partendo da uno spazio geografico ristretto (dai 6 ai 14 anni), sono approdato a Bari dove, con il Maestro Marvulli, ho sviluppato la musicalità che era in nuce e che il Maestro ha saputo far emergere con la sua straordinaria sapienza didattica. Ricordo anche le giornate intense che trascorrevo insieme ai miei colleghi: si suonava sempre, si ascoltavano le lezioni di tutti e spesso avevamo come ospiti grandi musicisti di passaggio, come Ciccolini e Sergio Fiorentino. Fino a 20 anni sono cresciuto con una grande quantità di musica, una varietà di lezioni individuali, ma anche collegiali, quando si toccavano temi che interessavano tutti. Si mangiava tutti insieme e spesso anche il Maestro ci faceva compagnia, per cui non mancavano le partite a scacchi o le chiacchierate intellettuali. Anche dal punto di vista umano Marvulli è stato per me una guida; aveva sempre il consiglio giusto da darmi, anche quando dovevo acquistare la mia prima reflex (Pentax ME super). Perticaroli aveva sia un carattere che un modo di lavorare molto diversi da Marvulli. Conosciuto Perticaroli a un corso a Otranto, ho potuto apprezzare la straordinaria esperienza concertistica che il Maestro sapeva trasmettere; con lui ho ampliato il repertorio e approfondito anche la tecnica pianistica perché, come mi diceva il Maestro: “Con le tue mani devi riuscire a fare tutto quello che hai in mente”. Salisburgo (1985) è stata la mia prima esperienza internazionale; ascoltare i colleghi pianisti di tante nazionalità mi ha dato la spinta a studiare meglio anche il rapporto psicologico con il palcoscenico. Cercavamo sempre di scambiarci le nostre idee e i nostri problemi per imparare sempre di più. L’ultima volta che ho rivisto Perticaroli è stata al Conservatorio di Musica di Foggia nel 2011 dove, invitato da me come capodipartimento, ha tenuto una straordinaria masterclass con gli allievi più bravi.

Musicologo, critico musicale, è stato direttore responsabile della rivista “Musica e Scuola”. Mi è sembrato molto interessante il fatto che all’interno della rivista vi fosse una parte dedicata alla legislazione musicale, argomento non facile anche per gli insegnanti.

Parallelamente al pianoforte ho sempre coltivato la Filosofia, materia che quando la studiavo mi dava le stesse sensazioni che ricevevo dalla musica. Sono riuscito a laurearmi a Urbino e questo mi ha portato a dover affrontare anche argomenti come l’estetica e l’approccio filologico alle fonti. La rivista Musica e Scuola mi ha fatto diventare critico musicale, mio malgrado, in quanto in 20 anni di attività ho recensito concerti, lp e cd, cercando di mettere sempre in luce le qualità migliori degli interpreti. Il punto forte della rivista era lo Speciale Legislazione che, senza internet, si imponeva come la guida per i tanti musicisti che si accingevano a produrre domande di supplenze, capire le circolari ministeriali e tutto ciò che serviva a livello scolastico. Spesso incontravo, durante i miei viaggi per concerti, colleghi che mi ringraziavano proprio per l’aiuto che ricevevano dalla rivista. Non ultimo, nel 2000, al Conservatorio di Pesaro, dove sono stato presidente di un concorso riservato per l’immissione in ruolo, anche la segreteria usava i nostri Speciale Legislazione. Poi con internet e, soprattutto, con la crisi economica tutto è cambiato e sappiamo ora come tante realtà siano scomparse.

Lei è autore di diversi saggi relativi alla didattica ed estetica pianistica. In questi ultimi anni si è dedicato allo studio della prassi esecutiva del XVII e XVIII secolo, pubblicando una nuova edizione delle opere di Bach, applicando i fraseggi e le articolazioni antiche sul pianoforte moderno. Parliamo di questo lavoro. Ve ne sono altri in programma?

Tutto iniziò con la nostra pubblicazione del libro di Paul Badura-Skoda: Interpretare Bach al pianoforte. Già con un precedente libro su Mozart Badura-Skoda aveva aperto un varco nella mia formazione sulla prassi esecutiva e sulla conoscenza degli abbellimenti e del carattere dei brani; con il libro di Bach, molto più approfondito rispetto a quello di Mozart, dentro la mia mente si incominciò a delineare un nuovo modo di eseguire questo tipo di musica. Poi Ton Koopman mi ha fatto saltare letteralmente dalla sedia: la sua lettura delle Suite per orchestra di Bach mi ha entusiasmato talmente tanto che mi sono immerso nello studio di un periodo musicale che non fa parte del pianista, ma che è di base per tutti secoli a venire. Invece, il mio Maestro di prassi esecutiva è stato Alessandro Buca, clavicembalista raffinato e intelligente (adesso anche cembalaro) con cui abbiamo iniziato il discorso di portare una nuova lettura della musica di Bach che si avvicinasse molto alla prassi e ai fraseggi antichi. I primi anni sono stati faticosi, ma molto fruttuosi perché univamo i fraseggi e la prassi esecutiva ad uno strumento moderno come il pianoforte che di antico non ha proprio nulla. Dopo due anni di lavoro, di prove sul pianoforte, siamo riusciti a pubblicare il primo libro Minuetti e Piccoli Preludi, prima con la Gioiosa Editrice, ora invece in una nuova versione riveduta e ampliata con la Isuku Verlag di Monaco di Baviera (www.isuku.de). Questo nuovo modo di leggere Bach mi ha portato a scardinare tante inutilità e difficoltà nei testi revisionati dai didatti dello scorso secolo e mi ha visto anche tenere delle lezioni (Kassel, Mosca) a tanti allievi alle prese con le opere di Bach. Sono state pubblicate anche le Invenzioni a 2 voci e la prossima uscita (maggio 2016) riguarda il Concerto Italiano. Tutti i libri hanno un codice per scaricare le esecuzioni in mp3 dei brani trattati; le esecuzioni sono sia al pianoforte (eseguite da me) che al cembalo (eseguite da Alessandro Buca).

Lei è titolare della cattedra di pianoforte presso il conservatorio “U. Giordano” di Foggia. È stato docente presso i conservatori di Matera e Rodi Garganico. Com’è cambiato l’insegnamento oggi rispetto al passato? Cosa vorrebbe che venisse modificato?

Il metodo per fare lezione è rimasto pressoché identico invece sono cambiati, finalmente, i percorsi didattici. I programmi del vecchio ordinamento risalgono al 1930… siamo al 2016, quasi cento anni dopo doveva pur cambiare qualcosa! Io poi sono da sempre del parere che la qualità debba cedere il posto alla quantità. Non tutti gli allievi hanno il talento e la velocità di apprendimento, ed è questa la differenza rispetto a chi farà il concertista, per cui, anche se l’allievo eseguirà una suite inglese e non due come prima, la qualità esecutiva sarà senz’altro superiore. Così pure per i Preludi e Fughe e gli Studi Clementi! In 3 anni 8 Preludi e Fughe si possono studiare ed eseguire a ottimi livelli, così gli Studi di Clementi non saranno più l’incubo di tanti studenti, anche bravi. Inoltre abbiamo inserito tutta la musica che prima era esclusa, come le Suites Francesi sempre di Bach, le Toccate, gli Etudes-Tableaux di Rachmaninov, opere di Scriabin, di Ciaikovsky, e di tanti altri compositori esclusi dall’elenco chiuso del 1930. Anche se ora, con i Trienni e i Bienni, un po’ accade, mi piacerebbe che i ragazzi vivessero di più la vita del conservatorio, con lo studio, le prove con altri strumenti e, soprattutto, le prove con l’orchestra. Questo sì, mi piacerebbe che diventasse “normale”; dare la possibilità di fare tante esperienze in casa per poter avere il repertorio pronto per il futuro. Se l’allievo ha già, per esempio, eseguito con l’orchestra un Concerto di Beethoven, quando lo eseguirà in pubblico (concerto o concorso) saprà già come affrontare l’impegno più importante.

E’ stato invitato come relatore in diversi convegni sulla cultura musicale, che hanno avuto luogo in diverse città italiane. Purtroppo, in Italia, la cultura musicale non gode di grande considerazione. C’è secondo Lei un modo per far si che l’interesse e la partecipazione agli eventi e ai concerti aumentino?

Tutte le volte che non ho suonato, ma ho parlato, ho cercato sempre di dare un contributo diverso dagli altri relatori. Mi ricordo un applauditissimo intervento sul pianista accompagnatore (poi pubblicato sulla mia rivista), che viene considerato, in genere, un pianista mancato. Ma per accompagnare i cantanti, ad esempio, bisogna avere oltre ad un ottimo impianto tecnico, un’eccellente lettura a prima vista e la capacità di trasportare le arie in altre tonalità. In un’altra occasione, sul tema del futuro diplomato in pianoforte, ho elencato tutta una serie di possibilità che l’allievo, non adatto all’attività concertistica, poteva sviluppare, come l’accordatore o il bibliotecario, ad esempio. La musica, e l’arte in generale, è fatta per pochi. Beethoven diceva: è il popolo che deve elevarsi all’arte e non l’arte abbassarsi al popolo. L’impegno di colui che deve prepararsi per uscire, andare a teatro per un concerto o una pièce teatrale, è notevole e se non sei preso, appassionato, questo non lo fai. Anche concerti nelle scuole e propaganda di attività musicali, alla fine non incrementano molto. Invece, penso, che oggi si potrebbe cambiare il concetto del concerto statico, esserci una specie di incontro prima del concerto, o dopo il concerto, dove il pianista, ad esempio, illustra la sua maniera di leggere i brani da eseguire; il pubblico potrebbe intervenire con domande, curiosità… Ecco, incuriosire il pubblico. In questa maniera le sale potrebbero riempirsi di più. Un’altra cosa è creare una formazione musicale di base, dalla scuola dell’infanzia fino all’università, attraverso la quale gli studenti giocano con i suoni, cantano in coro e suonano le loro melodie. In questa maniera anche l’ingegnere avrà la passione della musica e la voglia di ascoltare musica.

I concerti all’estero e le masterclasses tenute in conservatori prestigiosi. Che differenza ha trovato tra la preparazione degli allievi provenienti da altri paesi e quelli italiani? Il pubblico straniero è più attento a ciò che ascolta?

Dipende dai posti: ad esempio, al Conservatorio di Mosca c’è un livello altissimo, anche perché ci sono docenti a livello internazionale che ne fanno uno dei templi della musica nel mondo. In altri casi la preparazione degli allievi si equipara a quella italiana; dappertutto ci sono i talenti e gli studenti bravi. Una differenza, invece, ho trovato nell’approccio alla lezione: gli studenti stranieri, oltre all’estrema attenzione e alla realizzazione estemporanea dei consigli, alla fine ringraziano il Maestro. Questo atto di cortesia non è d’uso in casa nostra… Spesso faccio parte anche di giurie nei Concorsi Pianistici Nazionali e Internazionali e anche qui si vede la differenza tra i pianisti italiani e gli stranieri: in questo caso gli italiani hanno imparato a vestirsi in modo elegante anche durante le prove del concorso, cosa che fino a qualche anno fa non succedeva. Si assisteva alla performance di una ragazza russa vestita con abito da concerto, poi si avvicendava il giovane italiano con scarpe da tennis e jeans… Per quanto riguarda il pubblico c’è una grande differenza! Ad esempio, in altri Paesi il pubblico resta seduto fino alla fine del concerto, anche se dura 2 ore o più. Segno di cortesia ma anche di interesse di arrivare fino in fondo. Il programma da concerto che in genere si dà in Italia ha la durata di 1 ora, il programma per l’estero dura 1 ora e mezza.

Cosa pensa dei concorsi musicali e dei talent show?

Oggi è la via più corta per arrivare a un certo successo. I concorsi musicali sono oggi più che mai, la via per intraprendere una carriera internazionale; però la vittoria non ti assicura la fama in quanto bisogna avere un certo repertorio già pronto, la salute, il coraggio e anche una buona dose di fortuna. I talent show sono una specie di concorso ma spettacolarizzato. Il punto di forza è che i giovani scelti potranno studiare con i coach professionisti che li faranno crescere per arrivare a un certo livello. La cosa che non capisco: perché solo con la musica leggera? Sarebbe bello, anche per dare una mano alla diffusione su larga scala alla classica, un “The piano” con in giuria ad esempio Pollini, Baremboim, Kissin, Sokolov, Argherich, i primi che mi vengono in mente… i giovani, senza distinzione, potranno avere l’occasione di farsi ascoltare e poi di studiare, fare un percorso con i Grandi e crescere come fanno gli stessi giovani di The Voice.

I prossimi impegni?

I miei prossimi impegni sono alcuni concerti in Italia, una masterclass a San Gemini ad agosto, ma a giugno sarò per un concerto e una masterclass all’Accademia Musicale di Zagabria e a ottobre di nuovo a Kassel (D). Per quanto riguarda le registrazioni, è previsto un cd con musiche di Rossomandi (in collaborazione con Rosaria Dina Rizzo) e alcune registrazioni di musiche bachiane.

C’è una domanda che mai nessuno Le ha posto e che vorrebbe Le venisse rivolta?

In 20 anni di attività giornalistica le domande le ho sempre fatte io… a parte gli scherzi, non ho una domanda in particolare, anche perché sei stata precisa ed esauriente.

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