Si svolgerà domani, domenica 14 febbraio, alle ore 19 in corso Garibaldi la rievocazione dell'antica pratica popolare de "la quarantàna". Secondo la tradizione comune alle popolazioni garganiche (ma non solo ad esse), la Quarantàna è una pupattola realizzata con materiali poveri: un involucro di stoffa grezza riempito di paglia e vestito con l'abito della popolana, generalmente un capo dismesso e malridotto. La pupattola ha per piede una patata, nella quale sono infilate sette penne di gallina, possibilmente nere o scure, corrispondenti alle cinque domeniche di Quaresima, più quelle delle Palme e di Pasqua. A quest'ultima era riservata la settima penna, si solito di colore bianco.
La quarantàna veniva poi appesa all'architrave della porta, o su una delle travi della casa, mediante una corda agganciata ad un anello infisso sulla testa. Il capo stesso è costituito da un volto stilizzato, solitamente pitturato su stoffa e sormontato da una chioma realizzata con stoppa.
Il termine quarantàna si collega strettamente alla quaresima o meglio a "quarantena" (quaranta giorni). Rappresentava infatti la coscienza critica del periodo cristiano del digiuno e dell'astinenza, della preghiera e della penitenza, che precede la grande festa di Pasqua.
Il giorno di Pasqua, infine, dopo lo "scioglimento" delle campane, il "battimento" delle case e l'inizio dei "ndrànd'la" (i canti dell'altalena), la quarantàna veniva bruciata nel fuoco nuovo, ricavato da un carbone o un tizzone benedetto durante la messa della notte di Pasqua, che per un periodo della storia si celebrò a mezzogiorno del sabato santo.