Per quanto qualcuno del nostro stesso partito ci abbia definiti “gli ultimi della platea” (il che la dice lunga sulla sua idea “padronale”), non ci potrà essere negato di continuare a dire la nostra idea, in questo caso sul Parco del Gargano, per quanto poco, a questo punto, possa valere. Nella considerazione, tra l'altro, che i massimi esponenti del nostro partito non hanno, al momento, profferito verbo alcuno sull'argomento, come se il Parco del Gargano fosse affare di altri e non del territorio che essi rappresentano. Apprezziamo moltissimo il tentativo dei sindaci, che comunque farà storia, di mettersi insieme e provare a decidere del territorio. Ma non possiamo tacere la difficoltà di accettare il merito delle scarne argomentazioni che costituiscono il documento venuto fuori il 25 febbraio.
Un documento che cerca, in un certo senso, di riprendere l'ossatura del documento dei Circoli del PD Gargano, stravolgendone tuttavia i punti di forza, tanto da esserne definito da qualcuno la “brutta copia”. Quando si leggono definizioni, peraltro in apertura, sull'esigenza di tutela che “nel corso di questo ventennio, si è per lo più interpretata nella direzione della conservazione immobile, quasi pietrificata dello stesso” e che “in tutti questi anni il Parco del Gargano è stato percepito solo come una sommatoria di vincoli, volti più ad impedire che a favorire una trasformazione del territorio sia pure rispondente a finalità ecocompatibili, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile”, si deve prendere atto soltanto che quel documento è, tra le altre cose, la cartina tornasole del fatto che la maggior parte dei comuni del Gargano sono attualmente amministrati da quella cultura politica che vent'anni fa il Parco lo ha avversato con tutti i mezzi e che oggi, probabilmente – e noi ci auguriamo di sbagliarci ancora una volta - sarebbe disponibile ad operare prima di ogni altra cosa nel senso della revisione del concetto di tutela e conservazione e del conseguente, ulteriore consumo del territorio.
Un documento che sembra essere una sintesi di linee guida per una “sovramministrazione” dei sedici comuni del Parco. Quando il Parco, al contrario, è ben altro. Un documento nel quale non compare una sola volta la parola “giovani” e dove si legge un unico, fugace accenno al termine “centri-visita”, cioè quelle realtà su cui sono stati spesi milioni di euro e che necessitano di tornare ad essere l'anima e il corpo della promozione del territorio. I passaggi sintetici, a tratti formali, sulle politiche ambientali e sulla valorizzazione dei beni, denunciano purtroppo una conoscenza lacunosa della mission di un parco nazionale tra i più grandi d'Italia. Un documento che promuove “un costante ascolto del territorio con particolare attenzione al quel mondo dell'associazionismo” ma che sembra non aver capito o sentito quello che l'associazionismo, nei giorni scorsi, ha voluto dire.
Ottimo il passaggio sulla legalità (sottolineato già dai circoli PD Gargano) e sulla necessità di un Parco che contribuisca alle azioni di contrasto della malavita ma occorreva sottolineare che la illegalità da scongiurare dev'essere non solo quella che è fuori e tenta di compenetrare le istituzioni, ma anche quella che spesso nelle istituzioni nasce, per i motivi più vari.
Si chiede infine, nel documento, che “a partire dalla scelta del Presidente, si pratichi coerentemente una politica di ascolto del territorio e si proceda alla sua nomina partendo dal tasso di condivisione delle politiche ambientali che dovrà caratterizzare l’azione del Parco, di esperienze di governo, di effettiva riconoscibilità sul territorio” (espressione mutuata pedissequamente dal documento del PD Gargano), ma ci chiediamo come potranno fare il presidente Emiliano e il ministro Galletti ad ascoltare un territorio che propone tre nomi che sono uno l'antitesi dell'altro e tutti e due del terzo. Di fatti, il documento mentre parla della necessità di un coinvolgimento maggiore delle comunità locali “che si affranchi da logiche di calcolo politico”, opera proprio il più tattico dei calcoli (poco)politici per individuare la terna dei nomi. Non possiamo essere entusiasti, dunque, per un documento che di fatto sembra voler pietrificare – questo si – lo sviluppo in chiave moderna, innovativa e propositiva del Parco del Gargano, ingessandolo in equilibri fini a se stessi e in logiche dorotee da manuale Cencelli, quelle logiche che mettono sullo stesso piano cinque ottime personalità di questo territorio, ritenendole più o meno “degne” del ruolo attraverso un tristissimo voto segreto e non già valutandone nel merito le reali competenze leggibili, dalla loro storia, dalla loro esperienza e, se necessario, dai loro curricula.