Dopo l'estate, non vedevo l'ora che arrivasse ottobre. La Fiera d'ottobre.
La fiera era una specie d'evento, non solo per noi ragazzini che al mercato compravamo gli scarpini nuovi per giocare a pallone e avevamo un motivo in più per fare "n'dacche" a scuola.
La Fiera era uno dei momenti per eccellenza della San Nicandro degli anni '90.
Ricordo di gente che veniva dai paesi limitrofi per parteciparvi e di sannicandresi che ritornavano in paese, anche solo per un paio di giorni. Per molti, non era solo un grande mercato in cui fare buoni affari, ma una sorta di appuntamento con la città.
"Ci vediamo alla Fiera", ci si sentiva dire, sia dai grandi che dai piccoli. Tutti ne parlavano - e l'aspettavano - con quel sorriso che caratterizza i giorni di festa.
Per noi ragazzini, vivaci ed instancabili in quegli anni '90, i giorni della Fiera d'ottobre erano dei veri e propri giorni di festa e spensieratezza. Il paese, improvvisamente, tornava a vivere dopo il letargo settembrino. La gente (ri)tornava, numerosa, in piazza. Tutti respiravamo nell'aria una certa frenesia.
Probabilmente, è per questo che la Fiera era, per noi sannicandresi, la Festa d'ottobre.
Il paese diventava un grande crogiolo di sensazioni. Colori, profumi e sapori tipici della ricorrenza rendevano il tutto ancora più affascinante. Era come se la città aspettasse la Fiera per tornare a vivere, respirare, socializzare e staccare la spina per tre giorni, far festa, appunto.
Ricordo che, a volte, mi soffermavo, quasi ipnotizzato, ad osservare gruppetti di uomini di mezza età dall'aspetto tozzo, dai volti rugosi consumati dal sole e dalla terra. Erano davanti alle bancarelle degli attrezzi agricoli, sott e p'dal, concentrati e indaffarati nel negoziare i prezzi degli arnesi da portarsi a casa a prezzi convenienti. Persino 1.000 Lire di sconto erano importanti per i loro budget.
Il primo d'ottobre era un giorno in cui non vedevo l'ora di uscire, di andare alla Fiera. Soprattutto con mio papà. Anche lui, piccolo imprenditore locale, spesso, si tratteneva a discutere presso le bancarelle degli attrezzi agricoli con quegli omoni di mezza età, tozzi e dalla pelle scura. "Nì, quist jé u giov'n?", chiedevano. Mio padre annuiva. Seguiva la classica pacca sulla mia spalla con le loro grandi mani e un'altra domanda, in un italiano quasi stentato: "E come ti chiami?". "Packy", rispondevo. "Com?". Allora mio padre tagliava corto: "Quiss jé Pasqual, com o nonn", evitando di dare "spiegazioni" sul mio nome... e proseguivano, poi, nei loro discorsi su Tupina e Campanidd.
Erano coltivatori, operai braccianti, piccoli proprietari terrieri. Molti di loro, negli anni '90, avevano cominciato a coltivare alcune erbe ornamentali, negli anni del boom dei fiori secchi a San Nicandro e avevano cominciato ad avere rapporti di lavoro con i piccoli imprenditori sannicandresi.
Ero piccolo, ma ricordo che i loro discorsi entravano nel vivo quando si parlava di prezzi e quantità o di quell'altro coltivatore che, l'anno prima, aveva consegnato non so quanti quintali di Nbrù nbrù a un prezzo leggermente inferiore rispetto al loro (crescendo, capii che la pianta ornamentale si chiamasse effettivamente "Broom Bloom"). Per alcuni di quei lavoratori e piccoli proprietari di un pezzo di terra, la fiera era anche un appuntamento con l'eventuale "cliente".
San Nicandro era una comunità per lo più operaia, di gente semplice, senza pretese, che lavorava molto e aspettava, quasi impaziente, una delle ricorrenze più attese dell'anno, che culminavano con gli incontri e lo scambio di idee, in fiera. Sembrava quasi che i sannicandresi nutrissero un vero e proprio amore per la loro Festa d'ottobre.
Quei giorni, infatti, erano un tripudio di gente di età diverse e tutto appariva più bello del solito. O, probabilmente, era il mio occhio "innocente" di ragazzino che filtrava il tutto, facendo apparire bello - e gioioso - anche quello che in realtà non lo era.
Tuttavia, la città, nei tre giorni della fiera, mi sembrava diversa. Viva, in festa. In quei giorni, entravano a far parte del folklore sannicandrese anche i vari venditori che strillavano al mercato.
Alcuni di loro quasi ipnotizzavano la gente: da quelli che vendevano i Levi's a poco prezzo, a quelli delle borse o dei materassi, quelli che cucinavano squisite pietanze con pentole eccezionali, o quelli che cercavano di venderti prodotti miracolosi o piccoli animali, come criceti, coniglietti o pesciolini rossi (questi ultimi erano l'attrazione di molti ragazzini della mia età).
Ricordo - con un sorriso - quelli che vendevano piatti e simili: di un tizio, in particolare, che per convincere la gente della qualità dei suoi prodotti li sbatteva talmente forte da fare un rumore assordante, attraendo l'attenzione di moltissima gente. Un anno, quei piatti, li comprò anche mia mamma, ma sinceramente non ricordo se la qualità fosse veramente "a prova di caduta".
Ho vissuto in paese gli anni dell'adolescenza e sono tantissimi, ancora oggi, i ricordi legati alle varie Feste d'ottobre. Anche negli anni in cui si cercò di darle un'impronta più commerciale, a partire dalla seconda metà degli anni '90, con gli stand in Piazza IV Novembre e al campo sportivo.
Con il passare degli anni, purtroppo, la Fiera cominciò a perdere l'importanza che aveva una volta. Probabilmente, cominciava a perderne già negli anni '90 con la delocalizzazione e l'impronta più commerciale che si cercò di darle, e che, paradossalmente, le tolsero quel suo status di Festa d'ottobre e quel suo spirito conviviale nel ventre della città. Con gli anni la Festa si trasformò in un semplice e grande mercato, culminato dalla Sagra della capra "acqua e sal".
I ricordi, spesso, ci fanno rivivere tanti momenti intensi, facendoci riassaporare - per un attimo - il gusto di cose passate. La Fiera d'ottobre è uno di quei - bellissimi - momenti che custodiamo in noi e che appartengono alla San Nicandro di una volta. Personalmente, conserverò un bel ricordo della Fiera d'ottobre... pardon: della Festa d'ottobre e sono convinto che ogni sannicandrese farà lo stesso, ricordandola come uno dei momenti migliori, negli anni migliori, per la nostra città.
Il ricordo della Festa d'ottobre - e non solo - deve, tuttavia, aiutarci anche a riflettere, facendoci capire che la nostra memoria storica è custodia del passato e progetto per il futuro. E se riuscissimo a (ri)prendere coscienza di quello che è stato, probabilmente, avremmo un catalogo di destini diverso per il nostro futuro.
Mi piace pensare che, un giorno, sapremo riappropriarci della nostra Festa d'ottobre.
Fonte foto: archivio Michele Grana