Gentilissimo Presidente,
ascoltando, come penso facciano tutti i cittadini italiani, le notizie che arrivano sulla guerra tra Israele ed Hamas, mi é venuta in mente una storia raccontata tanti anni fa da un noto scrittore torinese. Alessandro Baricco. Mi era piaciuta molto ed ho pensato di proporla anche ai cittadini sannicandresi.
La scomunica di Gaza e la fragilità della democrazia
Uno dei tre argomenti trattati dallo scrittore Alessandro Baricco in Palladium Lectures si intitola Tucidide: sulla giustizia. Esso narra della Guerra del Peloponneso, combattuta nel V° secolo a.c. in Grecia. Una guerra trentennale che coinvolse tutte le polis greche e che venne da loro percepita come una guerra mondiale. Questa guerra -considerata una delle crisi più sconvolgenti del mondo antico- fu di una ferocia inaudita che spaventò gli stessi greci. Infatti, si affrontarono due polis nemiche, due potenze, Sparta ed Atene. Gli ateniesi erano invincibili in mare. Avevano un impero legato ai loro domini su tutte le isole del mare Egeo. Gli spartani invece erano invincibili sulla terra ferma, un dominio che si imponeva ad una certa distanza dalle coste. Il conflitto, iniziato nel 431 a.c.,.si concluse con la sconfitta di Atene. Decretando così, nel 404 a C., la fine di quel cinquantennio di felicità politica durante il quale Atene si era innalzata a guida ideologica della Grecia e, grazie all’amministrazione di Pericle, aveva preparato per i posteri un paradigma di civiltà ed una delle versioni più memorabili della classicità. Chiaramente, Atene e Sparta erano civiltà completamente diverse dalle nostre. Ma erano le sorgenti da cui noi siamo arrivati. Il titolo dell'opera (La guerra del Peloponneso) e la divisione in otto libri, realizzati dai bibliotecari alessandrini, sono entrambi di epoca posteriore. Una piccola parte di questi libri sono collegati ad un evento specifico e sono tra le pagine più famose dell’opera di Tucidide. Sono anomale. In queste pagine - i passi del V° libro dell’opera - vi è il racconto della ribellione, contro Atene, di una piccola isola dell’Egeo, chiamata Melo, i cui abitanti vollero sottrarsi all’alleanza con Atene per diventare neutrali. Atene, al fine di evitare che anche gli altri alleati imitassero i Meli, inviò trenta navi, con trentamila soldati, ad assediare le mura di questa città ma, prima di attaccare, inviò a corte degli ambasciatori per trattare con i Meli la loro resa. Al termine delle trattative (i cui dialoghi vengono descritti con dovizia di particolari), sia gli ateniesi quanto i Meli restarono sulle loro posizioni iniziali e, dopo l’assedio e la presa della città tutti i soldati Meli vennero uccisi, le donne ed i bambini fatti schiavi. Come già detto, alla fine dei trent’anni Atene perse la guerra con Sparta la quale, riuscì ad allearsi con la Persia (che all’epoca era la superpotenza egemonica ed è come se rappresentava gli Stati Uniti di oggi) e quindi non ci fu più storia. Ecco, Tucidide mette in evidenza più volte come gli ateniesi ricordavano sempre quello che successe ai Meli, quello che loro avevano fatto ai Meli, ed avevano il fondato timore, avevano paura che la stessa cosa succedesse loro. Poi però, per una serie variegata di ragioni questo non successe. Ma gli ateniesi di questo avevano paura. In ogni caso, se analizziamo bene i dialoghi delle trattative, possiamo notare come a distanza di tremila anni, ovvero da quando Tucidide scrisse il poema, gli argomenti trattati sono i medesimi di quelli che si trattano oggi giorno tra le diverse popolazioni in guerra. Non è cambiato niente. La storia è la stessa e continua a ripetersi. Poi oggi le cose sono terribilmente più complicate ma, in contesti diversi la storia si ripete sempre. Comunque, a quattro anni dall’inizio della guerra del Peloponneso, quindi molto tempo prima dell’episodio dell’isola di Melo, mentre ad Atene imperversava una forte epidemia di peste, e le risorse economiche erano scarsissime, nell’isola di Lesbo ci fu una città, di nome Mitilene, la quale anch’essa volle sottrarsi all’alleanza. Non fornendo più il contributo che versava ad Atene, ovvero le navi da guerra che costruivano come esperti armatori. Invece di versare del denaro come facevano tutte le altre città alleate, Mitilene era tuttosommato una città privilegiata. Atene, molto democraticamente (perché la democrazia era una forma di governo che si esportava obbligatoriamente, con o senza la forza), siccome ebbe paura di perdere la guerra con Sparta, scatenò una reazione violentissima. Dopo aver assediato e catturata la città di Mitilene, i suoi emissari inviarono ad Atene una nave che trasportava sia gli oligarchi, sia gli altri responsabili della ribellione di Mitilene. Gli ateniesi si riunirono per decidere e democraticamente votarono per alzata di mano l’uccisione sia degli oligarchi, sia degli atri responsabili che di tutti i soldati ed i maschi di Mitilene. In serata, prima di andare a dormire fecero salpare una nave per Mitilene che avrebbe dovuto consegnare il verdetto ed eseguire la durissima decisione. Senonché, il mattino successivo, alcuni ateniesi ebbero un ripensamento, chiesero di riunirsi nuovamente per rivedere la decisione e, questa volta, vinsero i moderati che optarono per una condanna meno forte: passare alle armi solo i responsabili, ovvero gli oligarchi e qualche altro. Bisognava però che il nuovo verdetto arrivasse a Mitilene in tempo, ossia prima che venisse posta in esecuzione la precedente deliberazione. Ciò in quanto aveva un giorno di ritardo rispetto all’altra ed allora si decise di inviare una nave a Mitilene con il doppio dei rematori. La cosa bella è stata che, prima della partenza, tutta la popolazione si riversò sul porto facendo il tifo per la seconda nave, riempendo di doni tutti i rematori affinché arrivassero a Mitilene in tempo per l’esecuzione della più mite decisione. Anche gli oligarchi di Mitilene, che da lì a qualche giorno comunque sarebbero morti, facevano il tifo per la seconda nave (quando si dice la pressione dell’opinione pubblica). E noi possiamo immaginare queste due navi che nel cuore dell’Egeo si inseguono con i due verdetti. Come due pensieri. E’ un’immagine tanto affascinante quanto inquietante perché parla della fragilità della democrazia. Cioè è un po’ come se i nostri padri, i padri dei nostri padri, ci avessero detto che il nostro destino è quello di prendere decisioni, prenderne di altre, e sarà un continuo inviare delle navi ad inseguirsi, e poi succeda quel che succeda, nessuno potrà dirlo. E faremo regali ai rematori della seconda nave. Ma non faremo altro che questo, perché è il nostro modo di stare al mondo e di decidere le cose. La fragilità della democrazia è questa: decidere sotto l’effetto dell’emotività. Ma poi l’elasticità della democrazia è che il giorno dopo si riuniscono di nuovo e dicono no. Che abbiamo fatto. Un’altra nave. Presto. Remate. Questo episodio è rappresentativo del modo di stare al mondo dei greci. Il considerare che sono stati gli inventori della filosofia è sintomatico del fatto che hanno strutturato il pensiero in forme. In figure. In sistemi. Sono quelli che per noi hanno inventato questo modo di pensare. E se noi questo modo di pensare lo analizziamo bene, non è poi molto diverso dall’inviare navi ad inseguirsi una dopo l’altra. Ciascuna con una idea dentro. Cercare di fermare la prima. Correggere la rotta. E’ un quadro. Due navi che si inseguono. Tucidide, che era freddo, eppure ci dice che i rematori di notte non dormirono. Fecero i turni. E poi con rinnovata freddezza ci raccontò come è andata a finire. Mentre in Mitilene stavano dividendo le donne ed i bambini dai maschi che dovevano uccidere, videro all’orizzonte comparire sul mare le vele dell’altra nave. Forse se l’aspettavano. Ed aspettarono che giungesse al porto. Ed è così che arrivano, in noi sempre, arriva una nave che ferma i nostri pensieri. Aspettarono la seconda nave ed arrivò il messaggio di salvezza. Insomma, salvezza…. ne trucidarono qualche migliaio. Gli storici dicono che comunque erano soltanto un decimo di tutti maschi. In ogni caso, schiavi tutti gli altri che ebbero la vita salva. Ma è bellissima l’immagine di queste due navi che trasportano la debolezza, la fragilità. L’elasticità e la flessibilità. C’è questa cosa complicata che abbiamo imparato. Un gran casino. Ma è ugualmente bella. L’immagine di queste due navi che si rincorrono in mare. Quegli altri che vanno un po’ lenti. Noi l’abbiamo ereditato dai greci. Siamo così. Ovvero facilmente articoliamo la nostra fragilità. Le nostre disfatte. Viviamo in figure fantastiche. Ci viene da allora. Non abbiamo mai smesso e non smetteremo mai. In definitiva, queste due navi sono le fondamenta della nostra mente, perché le nostre radici affondano lì. Ma gli israeliani, dopo l’inizio dell’attuale, ultimo conflitto, iniziato con gli orrendi crimini commessi dai terroristi di Hamas, cosa decideranno di fare della popolazione di Gaza?