A San Nicandro Garganico, per tradizione consolidata da poco più di un secolo e mezzo, Santa Filomena ricorre la seconda domenica di ottobre. Ciò, benché si tratti della santa martire di Roma, trucidata e uccisa all'inizio del IV secolo durante le persecuzioni di Diocleziano e Massimiano e la cui ricorrenza, invece, è universalmente riconosciuta l'11 agosto.
Ma chi era Santa Filomena? Le uniche notizie riguardano una tomba assai distinta rinvenuta nel 1802 nelle Catacombe di Priscilla, nella quale giacevano antichissimi resti femminili coperti da tre tegole di terracotta, con l'iscrizione "Pax tecum Filumena", oltre ad un'ampolla con del liquido scuro essiccato, creduto essere sangue, il tutto databile al III-IV secolo d.C. Allo spostamento del corpo prima a Napoli, poi a Mugnano del Cardinale, seguirono una serie di eventi prodigiosi attestati da fonti dell'epoca. Al 1833, invece, risale un notevole impulso alla diffusione del culto grazie alle visioni della terziaria domenicana suor Maria Luisa di Gesù, a cui la santa avrebbe rivelato di essere stata una principessa di Corfù della quale si era invaghito l'imperatore Diocleziano, che rispose al suo rifiuto (aveva consacrato la sua verginità a Cristo) con una serie di tormenti e sevizie: la flagellazione con prodigiosa guarigione angelica, l'annegamento con rottura dell’ancora, il saettamento con deviazione delle frecce e infine la decapitazione finale alle tre del pomeriggio. Di fatti, due ancore, tre frecce, una palma e un fiore sono i simboli che erano raffigurati sulle tegole del cimitero di Priscilla e furono interpretati come simboli del martirio.
In questo contesto, nello stesso 1833 la devozione alla santa si diffonde con grande fervore in tutto il Regno di Napoli e, dunque, anche a San Nicandro Garganico, dove il popolo comincia a battezzare le nasciture con il nome della santa e il clero si attiva subito per procurare al culto un'immagine. Che arriva il 20 agosto, a tarda sera, in una circostanza di grande e devota aspettativa, narrata da una cronaca del tempo custodita nell'archivio della Chiesa Madre. Una bella testimonianza, che ci racconta di come all'epoca la religiosità fosse il cardine della vita del popolo e che riportiamo integralmente:
"A 20 di agosto del 1833 venne la statua di s. Filomena da Lucera benedetta dal vescovo. In tal circostanza fu sorprendente l'entusiasmo del popolo. Erano 23 ora in circa quando il suono delle campane ne annunziò l'arrivo. Allora tutto il popolo col clero processionalmente uscì ad incontrarla sino alla scoscesa de' pozzi. Quivi giunta la cassa della statua fu chiusa in un padiglione fatto a bella posta. Disposta la statua fu mostrata al popolo. Alla vista s'intese un fremito di pianto e di tenerezza in tutti. Quindi si portò nella chiesa matrice, incontrando di passo in passo tavoli con delle oblazioni e donativi, ed il clero sempre cantando l'inno - Jesu Corona Virginum - . Arrivata alla chiesa, appena l'arciprete poté predicare tanto era la calca della gente e le voci di pianto. Dopo la predica era circa un ora di notte quando convenne ritirar la statua nella chiesa del Carmine, e per appagare la divozione di tutti si girò per la piazza del Campanile e per quella del Piano. La notte, l'illuminazione, lo sparo, il gran concorso formavano una scena tutta nuova di tenerezza, e di commozione universale".
A seguito di studi storici e scientifici, che misero in discussione l'attendibilità storica delle relazioni tra il ritrovamento della tomba e una santa martire, la Sacra Congregazione dei Riti approfittò della riforma liturgica voluta da papa Giovanni XXIII negli anni '60 per cancellare la memoria di santa Filomena dal calendario liturgico. Tuttavia, la devozione popolare continua fino ad oggi, suffragata dai prodigi e miracoli narrati dalle cronache e dalla devozione di numerosi papi e futuri santi. Anche a San Nicandro il simulacro è tuttora custodito nella chiesa del Carmine ed esposto alla pubblica venerazione ogni seconda domenica di ottobre. Lo studioso locale Gianclaudio Petrucci, ha di recente appurato che gli attributi iconografici della statua sannicandrese (ancora, freccia e spada), tutti in argento, sono marchiati V.Z., verosimilmente il ricco latifondista Vincenzo Zaccagnino, nonno dell'omonimo benefattore. La spada, in particolare, è opera di uno dei più abili argentieri napoletani, Gennaro Iaccarino. Il culto sannicandrese alla santa è essenzialmente legato, oggi, al perpetuarsi del nome, nei sempre più rari casi in cui si tramanda dalle nonne alle nipoti.