Halloween e la zucca. L'anima dei morti e la frutta dell'autunno.

Oggi il mondo impazza con la festa di Halloween riesumando, per una notte, creature cattive della notte come lupi mannari, streghe, orchi, scheletri, ecc. che furono e sono ancora incubo e terrore dei nostri bimbi e con essa rivivono antiche saghe dell'oltre tomba stile yankee al grido usuale e dissacratore di “dolcetto o scherzetto”. Ma forse, nessuno sa che tutto ciò nasce sul Sub Appennino Dauno e sul Gargano. La ricorrenza fu esportata negli U.S.A. e ovunque nel mondo dai nostri emigranti nel secolo scorso perché nelle nostre contrade la sera prima del 1° novembre si preparavano le strade al passaggio della processione delle “anime dei defunti” che tornavano sulla terra, per intercessione del Dio creatore di ogni cosa, per rivedere i loro cari e i luoghi dove essi furono vivi. Per illuminare le stradine buie dei borghi di queste contrade, in quella “funerea notte”, si usava scavare internamente una zucca, darle sembianze di un teschio, mettere all’ interno una patata con del liquido incendiario ( grasso, scarto della posa dell’olio o, addirittura, cerume ricavato dalla pulizia delle orecchie per un anno intero. Cerume che poi, si raccoglieva e si appiccicava ad un filo) con un filo di spago e metterla sul davanzale delle finestre o davanti agli usci affinché i nostri morti non avessero difficoltà a ritrovare la casa dove erano vissuti. In casa si apparecchiava la tavola con vivande povere e con melograni, noci, castagne, fette di zucca e qualche dolce, affinché il “caro estinto” trovasse ospitalità e ristoro e non si sentisse dimenticato dai vivi. Poi, con l’avvento di nuovi tempi la zucca e la patata furono sostituite dal “classico cerino” che continua ad essere messo fuori per continuare ad illuminare il cammino notturno della processione eterea delle anime dei nostri cari defunti. A S. Nicandro G. ,oltre a ciò, frotte di bambini coglievano e colgono ancora l’occasione per recarsi nelle case del paese cantando e recitando alcune filastrocche come “ la trippa d’ la vecchia”, “damm’ l’an’ma di mort ka s’nnò t’ sfascj la porta” e “tupp tupp chi ia iè...”. Anche a loro si dava e si da sempre in regalo, per “la visita ambasciatrice dei morti che sarebbero tornati quella notte”, frutti della passata stagione come fichi secchi e mandorle e di quella autunnale come noci, castagne e il melograno (punica granatum). Ma perché si dava, in particolar modo il melograno? Narra la leggenda che tutte le lacrime di dolore che il morto versava prima di morire erano raccolte dagli alberi di melograno e conservate nei suoi chicchi dolci e vermigli offerti, poi, ai vivi come dolce ricordo di chi era morto affinché non venisse mai dimenticato. Alberello che si amava avere in ogni orto e fu l’alberello simbolo della bellezza e di inno alla vita e del dolore della morte di tutte le lacrime che l’estinto e i vivi versano. Anche a S. Nicandro, quindi, pur mettendo zucche e cerini fuori dalle finestre e dagli usci, non si festeggiava affatto “la notte brava di Hallooween” ma la ricorrenza del giorno dei morti! Perché tutto ciò? Citava Foscolo ”...Celeste è questa corrispondenza di amorosi sensi, celeste dote è negli umani; e spesso per lei si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi...”...E noi oggi cosa ricordiamo e tramandiamo ai nostri figli di questa annuale visita notturna dei nostri cari estinti?? Spero che non sia solo la “ammuina di Halloween” che è pur sempre voglia di vivere e scacciare la paura della morte irridendola...Ma che tali giorni siano anche un momento di ricordo e riflessione sul rapporto che ci lega ineluttabilmente a quel mondo che noi tutti chiamiamo “ il mondo della verità eterna” che si ritrova varcando il cancello di un cimitero. Allora questa notte che è la vera “vigilia del ritorno sulla terra della processione delle anime dei nostri cari estinti” prepariamo, anche noi, il cerino fuori, l’offerta ai bambini che busseranno alla nostra porta e una tavola imbandita...ma di ricordi indelebili che legano noi ai nostri cari estinti senza far mai mancare nella nostra memoria le nostre radici e, oggi e domani, sulla nostra mensa il melograno con i suoi chicchi dolci e sanguigni.

Dedicato a tutti coloro che ancora credono e non vogliono dimenticare.

Con stima On. Nino Marinacci

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